IGNAZIO APOLLONI, LETTERA APERTA A VIRA FABRA |
LETTERA APERTA A VIRA FABRAGentile Signora Forse mi sbaglierò, la confondo con un’altra altrettanto bella donna confusa tra la folla (come in un autentico fotoromanzo). Fu alla stazione di Torino, verso la fine del 1952. Vi ero arrivato con un copione in mano e al seguito un fotografo dalle miti pretese (la nostra era una società di produzione; quella che avrebbe dovuto editare il romanzo, con qualche pretesa in più ma non molte). Mi aggirai da un binario al successivo e, ancora dopo, su e giù non so quante volte scrutando in faccia questa o quella femmina – è noto che nei fotoromanzi, contrariamente a quelli che sarebbero divenuti teleromanzi – si guardava più e si pretendeva la femmina, la carne, gli effluvi della donna prossima ad entrare in calore che non la bellezza; le fattezze; il sorriso; la dentatura di un bianco smagliante alla quale ci avrebbero abituati in seguito gli americani.
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