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QUATTORDICESIMA LETTERA APERTA A VIRA FABRA, di IGNAZIO APOLLONI |
Gentile signora La so di una curiosità morbosa, in certi casi: pochi in verità e solo se hanno almeno la parvenza delle grandi questioni come ad esempio l’indagine sul chi siamo. Sul chi eravamo infatti o sul chi si era sotto questo o quel regime ci si era interrogati persino a sufficienza tanto da rimanere ben poco da scoprire: basti pensare alla schiavitù in epoca romana, non diversamente vissuta quanto a umiliazioni dai neri in America o Sudafrica. Quale evoluzione ci sia stata da allora sul comportamento umano nei confronti di chi un tempo fu assimilato alle bestie è troppo presto da individuare e definire. Ci sono in atto rigurgiti di animalità, un po’ dappertutto nel mondo, forieri a lungo andare (non male il forieri) di ritorno appunto al come si era. Come vede siamo in una fase di stasi se non in un periodo di involuzione verso il homo homini lupus per dirla con Hobbes, ma lei per sua fortuna ne è poco sfiorata. Vive le grandi dimensioni: a noi le piccole. Delle sue scoperte o invenzioni manda segnali: noi non riusciamo a fare altrettanto. La prego pertanto di dare maggiore potenza; di allargare il raggio d’azione di quei segnali; di coprire sopratutto il globo delle sue virtù affinché noi si possa vivere in pace gli uni con gli altri.
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