UNDICESIMA LETTERA APERTA A VIRA FABRA, di IGNAZIO APOLLONI |
Sto leggendo, a intervalli quasi regolari, Controfigura di Luigi Fontanella, edito da Marsilio. Non appartiene proprio al genere che prediligo: io stesso ho scritto una storia ambientata a Roma, autobiografica quel tanto da poterci innestare la relazione, poi andata in fumo, con una ragazza di nome Anna. L’intento era stato di descrivere atmosfere poi dissoltesi nel nulla nel breve arco di tempo che va dal 1956 al 1965. In quel periodo l’Italia conobbe il boom economico; passò da una economia post-bellica e arcadica (fondata cioè sull’agricoltura, i paesaggi, la melancolia, e la lentezza che essa comporta) a una spasmodica ricerca del benessere ad ogni costo, appunto ad ogni costo. Si moltiplicarono i desideri da appagare; furono creati miti (quello dell’american way of life divenne un must); non fu più un problema morale la disgregazione delle famiglie; la Chiesa non capì o non potè fare nulla per frenare la corsa al massacro e al disastro: impegnata com’era a difendere i suoi valori e i suoi interessi dalla temperie marxista che in Italia aveva uno dei suoi più grossi capisaldi.
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