DINA BASSO - UCCALAMMA - Bocca dell'anima |
Nel dialetto catanese Uccalamma è una parola composta che alla lettera significa “bocca dell’anima”. È una felice locuzione che sta ad indicare la bocca dello stomaco, e più precisamente, l’epigastrio. È il punto anatomico più intimo e fragile: nella lingua popolare è il luogo in cui si percepisce e si accoglie il mondo: qualcosa di simile al “sentire con la pancia” e al “dire con la pancia”. Eppure è qualcosa d’altro: dalla “bocca dell’anima” scaturiscono i pensieri, le parole, le emozioni dell’esperienza del mondo. È un tropo, una metafora attraverso cui Dina Basso riferisce e allude. È la chiusa che regola il rapporto del sé con l’altro sé. Così Uccalamma ci parla essenzialmente con il lessico dell’amore, attraverso la sua percezione fisica, corporea, e attraverso i sensi – vista, udito, olfatto, tatto – chiamati a percepire, a catturare. Penso ai testi di questo libro come ai morsi e agli stigmi di un incontro, di un affronto con la vita e con la morte. Alcuni, specie tra i più brevi, e non sono pochi, colpiscono per efficacia di sintesi, quasi per una rapida fluidità che coniuga essenzialità e visione, lampo di pensiero e sua immanenza e concretezza. Se le questioni e i temi sono quelli di tutti i tempi, il tono e lo stile sono contrassegnati da una calibrata, asciutta medietà, understatement dal gusto giovane, contemporaneo. Sono molte le frecce che ha nell’arco Dina Basso, mossa da una limpida motivazione a scrivere. Una motivazione di chiarezza e verità, che sia un augurio e un viatico per la giovanissima poeta: “nun serva a nenti cummigghiarsi, / tantu quannu scrivemu / semu sempri a nura” (“non serve a niente coprirsi, tanto quando scriviamo / siamo sempre nudi”). Dalla prefazione di Manuel Cohen La Basso lavora con il dialetto siciliano di Scordia, lingua che viene proiettata su di uno scenario tutto contemporaneo e usata con sobrietà e pacata ironia per costruire la mappa di un quotidiano rapporto fra l’io e il mondo, fra l’io e se stesso. Sergio Rotino La poesia italiana ancora intrisa del dolore per la prematura scomparsa di una poetessa straordinaria come Assunta Finiguerra, della sua voce così rabbiosa e viscerale, trova lenimento e continuità nel precoce esordio di Dina Basso. Nei suoi versi, fra morsi d’amore e graffi silenziosi, la parola sembra sempre sul punto di squarciare la pagina, di far emergere la carne che il foglio avvolgeva. Nella poesia della Basso, la pancia è l’epicentro di un terremoto gergale, la lingua qui non è e non può essere considerata soltanto l’idioma in cui essa è scritta, ma la sonda saettante dell’eros e del gusto. Fabio Franzin
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