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DECLINANDO IL TEMPO - TESTO DI LOREDANA REA

 


DECLINANDO IL TEMPO
Per raccontare al femminile la quotidianità

Per vedere il mondo in un granello di sabbia
E il paradiso in un fiore selvatico
Tieni l’infinito in un palmo della mano
E l’Eternità in un’ora

William Blake

Nel corso del XX secolo, parallelamente alla trasformazione sociale, politica ed economica del ruolo femminile, un gruppo sempre più numeroso di artiste ha infranto la barriera del silenzio e scompaginato le certezze radicate, muovendosi con determinazione nei territori ampi esplorati dalle avanguardie prima e poi nei nuovi spazi costruiti dalle esperienze maturate nel secondo dopoguerra, per superare ogni pregiudizio legato all’appartenenza al genere, intesa non come costruttiva differenza, quanto piuttosto come inevitabile problema.
A partire dagli anni ‘70, accanto alla parallela affermazione dei principi femministi, la presenza e l’esistenza delle donne nel mondo dell’arte è uscita dall’opacità, per appropriarsi di una visibilità che ha cominciato a restituire la complessità delle esperienze legate ad una modalità diversa di intendere l’arte. Ma è soltanto nel corso dell’ultimo ventennio che le cose sono cambiate di segno. All’interno del suo chiuso sistema si è configurata una prospettiva inedita: le artiste da una posizione periferica, anzi assolutamente marginale, dove erano state confinate da una cultura spacciatasi per neutra, ma invece inevitabilmente ed esclusivamente di segno maschile, si sono trovate proiettate direttamente verso il centro, verso il cuore pulsante del complesso organismo, ottenendo dalla critica, dai media e dalle istituzioni un’attenzione fino ad allora mai avuta, occupando gli spazi che fino a quel momento erano stati loro interdetti, tanto che sempre più spesso i maggiori musei hanno cominciato ad esporre ed acquisire le loro opere, per colmare i vuoti generati da una reiterata invisibilità. Dagli anni ’90 l’attenzione riservata alla ricerca artistica al femminile, se da una parte, e mi riferisco più specificatamente al mondo anglosassone, è segnata dal riaffiorare di posizioni blandamente femministe, sia pure venate di una sorprendente auto-ironia rispetto a quelle degli anni ’70, dall’altra questo fenomeno si manifesta attraverso un significativo spostamento di accento.
L’interesse si rivolge, infatti, alle tematiche legate all’identità e, soprattutto, alle problematiche della realtà quotidiana, che diventa il campo privilegiato di analisi e indagine, declinate seguendo una molteplicità di pratiche operative e metodologie espressive. In una società costruita sulla contraddittoria necessità di dover apparire in conformità ai criteri imposti da pochi, temi considerati tradizionalmente femminili: la narrazione, l’intimità, lo sguardo soggettivo, l’esperienza del quotidiano, il recupero della memoria, la contaminazione con pratiche cosiddette minori, ritenute fino a questo momento secondarie all’interno del discorso sull’arte, con la loro carica fortemente eversiva diventano sorprendentemente centrali, tanto che in maniera assolutamente inaspettata sembra ormai per buona parte colmato il divario, generato da un sistema ruotante esclusivamente intorno a personalità maschili.
Con gli strumenti offerti dall’arte le donne hanno cercato di sovvertire le regole spesso non scritte, ma non per questo meno salde, di una struttura esclusivamente maschile, per affermare l’importanza di un modo differente di concretizzare le problematiche della sperimentazione artistica, in cui le istanze estetiche si intrecciano a quelle ideologiche e comportamentali, per disegnare una dimensione in cui la consapevolezza dell’essere donna e, sopratutto, del valore della diversità si materializzano in un linguaggio che parte dalla quotidianità della vita e ad essa ritorna.
L’ipotesi da cui ho preso le mosse per la costruzione di questa esposizione, voluta fortemente da Paola Menichetti, Assessore alla Cultura della Provincia di Frosinone, che mi ha offerto l’opportunità di un altro costruttivo confronto sulla complessità della realtà contemporanea e una nuova occasione per lavorare fianco a fianco con artiste che negli anni hanno ritmato la consapevolezza del mio impegno critico, è stato il desiderio di seguire le tracce di quante hanno provato, e provano, a forzare i confini indicati da una situazione sociale e culturale, che pur nutrendosi della fertile pluralità degli orientamenti mostra in ultima analisi una sconcertante leggerezza estetizzante, tesa a rifuggire volutamente ogni coinvolgimento profondo e a marginalizzare ogni rapporto non superficiale con la quotidianità e l’inevitabile precarietà che la pervade, evitando di srotolare le pieghe oscure di questo nostro tempo, per coglierne la vera sostanza. A condurmi è stata la volontà di rintracciare nei segni lasciati da quante intendono l’arte come possibilità, anzi unica possibilità, di sentire e vedere la realtà, di stare dentro le contraddizioni dell’esistenza, per provare a dare un significato a ciò che in apparenza non ne ha, l’opportunità di cogliere pur nella difformità e nell’autonomia delle loro singole ricerche un elemento comune, che si materializza nell’impostare un discorso a partire da se stesse, come soggetti collocati in uno spazio e in un tempo ben preciso, ma che poi come un’inarrestabile reazione a catena investe lo scorrere quotidiano della vita, fatta anche di accadimenti che molto spesso potrebbero sembrare insignificanti.
La specificità del sentire che connota i percorsi delle quattordici artiste invitate - Minou Amirsoleimani, Franca Battista, Primarosa Cesarini Sforza, Luisa Colella, Anna Maria Fardelli, Giancarla Frare, Rosaria Gini, Rita Mele, Maria Teresa Padula, Flavia Passamonti, Teresa Pollidori, Rosella Restante, Alba Savoi e Elena Sevi - corrisponde all’esigenza di stabilire in primis il proprio punto di vista e, poi, i provvisori confini, per andare oltre e riuscire a raccontare attraverso l’arte il lento o convulso declinare del tempo, trattenendo in maniera duratura l’emozione del farsi delle cose, del loro continuo trasformarsi, che sottende al di là di ogni apparente distonia un’armonia sottile, ma sempre percettibile.
A guidare ognuna di loro nella costruzione di un linguaggio capace di esprimere l’importanza del continuo confronto con la realtà quotidiana, sia pure inevitabilmente vissuta attraverso l’intensità del proprio sentire, è l’urgenza di rendere manifesta la variabile profondità delle impressioni, delle sensazioni, dei timori, dei turbamenti che in maniera sempre differente hanno segnato, e continuano, a segnare il vissuto di tutte, in cui interiorità ed esteriorità si coniugano in modi sempre originali, per superare l’inquietudine legata al tempo presente e bloccare, anche solo per un istante, il ritmo convulso del vivere, nell’intenzione di spostare l’attenzione su tutto ciò che ogni giorno sfugge, cancellato dall’urgenza di bisogni solo apparentemente primari. L’obiettivo è trovare un senso a ciò che spesso senso non ha, comprendere la natura dell’indissolubile legame tra la finitezza della vita e l’assoluta inarrestabilità del divenire, per cercare di sconfiggere la fragilità dell’esistenza.
Nella complessa problematicità della dimensione femminile l’arte diventa, infatti, possibilità di mettere a nudo se stesse, di portare alla luce le trepidazioni, le incertezze, le difficoltà e le gioie di un quotidiano che si libera così di ogni prosaicità, di ogni tentazione retorica, per mostrare la sua sostanza. Ad interessare, infatti, non è esclusivamente il carattere fattuale ed aneddotico degli accadimenti di ogni giorno, quanto piuttosto la loro qualità emotiva, per restituire la flagranza di un sentire complesso, in cui posizioni dissonanti, a volte coerenti, concatenate e consequenziali, altre volte divergenti e persino discontinue si contaminano l’una con l’altra, a restituire una ricchezza di interpretazioni che coesistono senza escludersi, rafforzando anzi la necessità di un pluralismo di prospettive che meglio rappresenta la realtà contemporanea.  Il punto di partenza è da una parte il desiderio che l’esperienza artistica rifletta, sublimandola, la complessità della nostra quotidianità, continuamente assediata dall’ansia di comunicare e dalla voglia di rifugiarsi nella propria intimità, dall’altra la volontà di dare voce alle piccole cose di cui è intessuto lo svolgersi della vita di ognuno, costantemente in bilico tra l’essere e il dover essere.
Seguendo la chiave di lettura suggerita, i lavori presenti in mostra si offrono agli occhi del pubblico come tracce leggere, eppure persistenti, lasciate su di un terreno difficile quanto a stratificazioni e asperità, perché su di esso coesistono esperienze e prassi operative molto diverse tra loro, a indicare una molteplicità di percorsi, in cui le tensioni emotive si intrecciano per tornare a sbalordirsi anche dei piccoli eventi e sostenere il peso di esperienze di vita attraversate ogni giorno di più da incomunicabilità, incongruenze, incomprensioni e solitudini. L’opera si offre allora come metaforico frammento esistenziale, segno indelebile del confronto con il mondo e le sue ineludibili sconnessioni, testimonianza dello stare qui e ora, per affrontare la difficile convivenza tra la solitudine dell’essere e la necessità di rapportarsi agli altri, per capire il senso dei silenzi e delle parole, il peso dell’amore e del dolore, la levità della gioia e la gravosità del dispiacere, e assaporare l’intensità di un quotidiano sostanziato di straordinaria ordinarietà, riscoprendo che nel palmo di una mano si può custodire l’incancellabile bellezza dell’inesplicabilità dell’esistenza.

Loredana Rea

 

 

 

 
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