NUBI A PALERMO 1 La città naviga dentro questa voragine di fuoco: ossa, tralci d’edera frammenti disumani e poetici. 2 Un canto decomposto piove fitto dalle nubi sciorinate dal monte. Ne diluisce le colpe per riversarle intatte, quasi un lemnisco, nella lastra grigia, avvolgente del mare. 3 Il monte ha il suo percorso di labbra, piedi, bubboni. Possiede le sue muraglie di fame, di gioia, d’apparizioni e sogni, di farine ed eiaculati. 4 Tutto è raccolto nel ventre bianco di Rosalia, obliquamente posto tra nuvole calde di scirocco e l’esasperante incedere delle chiocciole. 5 Il mio cuore è come questo tetto che guarda vicolo dei dadi: offre alla luce offensiva del giorno i suoi àlgidi abissi il silenzio impenetrabile delle voci, la gabbia col cardellino schiacciata come un fossile. 6 Un fumo stantio distilla il rancore. Vago contrarsi, inatteso, inefficace. Soltanto l’ombra del sogno sembra viva, proiettata nel gelo della cupola barocca. 7 Il loro, come il mio vivere, è il grido lacerato della vittima; quel sanguinare atroce e smisurato che ci avvolge. (Palermo, 1991) CATACOMBE, I
Nessun ritorno alle tenebre ma il fresco scrollarsi del tulle l’epidermide corrosa la polvere. Il tutto, non altro che concime sul quale viviamo l’àmbito effimero e osceno. CATACOMBE, II Non cento, ma mille occhiaie, lampeggiano nel fuoco dell’estate. In esse si riflette la mia noia il disgusto di tutto, l’intestino oblungo del sonno. (1992) AGGUATO, I La lama è puntata alla gola. E’ apparsa d’improvviso, luna sulle grondaie, come Palermo vecchia dietro l’angolo temibile. Il gatto rimane per giorni ucciso sull’asfalto. Il suo puzzo si confonde con quello del giovane ammazzato nella periferia zingara e tragica. AGGUATO, II Ma qui ovunque è dolorosa periferia. Tutto è pronto per accusarci. Per ucciderci. Per dormire con gli incubi, a covare in una brace tiepida e crepitante. (1992) RIVO Gli occhi sono sbarrati; scendono come rivo acquoso sui reticolati di Porta Carini. Tra i suoi tentacoli, il polpo, oltre il limone, non accoglie soltanto la sua morte. OCCHI Brillano gli occhi del garzone di macelleria. Avrà poco più di dieci anni. L’età di mio figlio. Ma ha lo sguardo duro. Gioca col mio disagio. Stringe nel pugno un cuore bovino sanguinante. Ma l’offre con compiaciuta irriverenza (1992) MERCATI Il vapore è sottile, insinuante. sotto i banconi del mercato arabo. Affiora un ciuffo d’alghe intriso di sangue, il seno diafano d’una sirena, il mantello maculato della fiera in riposo. Si arresta il brusio montante al grido straziato della donna. La sua corsa disperata conduce al destino coperto degli àbiti gualciti, della corda, della lingua trafitta del figlio incaprettato. (1992) SGABUZZINO A PALAZZZO NATOLI Stringe la candela l’ultimo buio estenuante. E’ un singhiozzo compresso dalla disperazione: l’infanzia tradita in un ambito oscuro. Una sedia, l’anima fredda della cera, la coltre umida della conversa. Il tempo degli orrori è preceduto dalla schiera latrante dei cani infernali. Sono giunti ai nostri giorni indisturbati, ingrassati, vestiti di smalto rosso. (1992)
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