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ALDO GERBINO

 

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La realtà implacabile

     In un dipinto del 1638, Paesaggio in tempesta, Rembrandt esprime il malessere del suo tempo attraverso la restituzione figurativa di un ciclo greve, tragicamente annuvolato che, nell’imminenza di una tempesta, proietta bagliori incandescenti sul paesaggio:quello stesso simbolico rosso che, nella restituzione poetica di Nubi a Palermo, tutto sembra avvolgere, confondere, soffocare, quella “voragine di fuoco” in cui Aldo Gerbino vede, in un implacabile tramonto, affondare Palermo.
     Una stretta correlazione, che però non è mai posta – né sul piano linguistico né su quello emozionale – da una trascrizione puramente imitativa del mondo, intercorre, nella poesia di Gerbino, tra spazio reale e spazio testuale. Alla base c’è una sensibilità poetica, che, vivendo la poesia come radicale esperienza di verità, scende nel dentro delle cose, per cogliere, al di là di ogni convenzionale e rassicurante apparenza, le segrete affinità, le oscure connessioni.
     Attraverso una scrittura vigile e densamente metaforica, refrattaria a ogni lirismo di maniera e a ogni dimensione consolatoria del linguaggio, il poeta impietosamente focalizza, dilatandone la valenza simbolica e conoscitiva, aspetti, apparentemente marginali del reale, che, per la loro consueta presenza e per la loro abituale funzione d’uso, passano inosservati, invisibili, essendo ormai, nel quotidiano, la loro originaria forza espressiva, l’allarme o la crudeltà talvolta in noi racchiusi: come l’inconsapevole orrore gestuale del ragazzo di macelleria, che, con “compiaciuta irriverenza” offre al cliente “un cuore bovino sanguinante”, o le “occhiaie” dei Cappuccini imbalsamati che dal sottosuolo “lampeggiano nel fuoco dell’estate”.
     La prospettiva da cui Aldo Gerbino guarda il mondo, non è perciò mai frontale, consueta, ma obliqua, trasversale alle cose, in esse evidenziando quella zona d’ombra dove il destino, storico e individuale, dell’esistente – corpo o città, scrittura o quotidiano – si compie e si determina.
     Le catacombe, luogo contemporaneamente realissimo e fortemente simbolico, restano perciò, in Nubi a Palermo, il punto di osservazione privilegiato sulla città, che, spoglia dello sfarzo barocco di giardini, palazzi e mercati, rivela i “liquidi perversi” che irreversibilmente la corrodono: terra desolata, «Libano / mascherato separato dal resto / dalle   code ellittiche dei ratti», dove il poeta, può celebrare solo amari “riti di morte”.
     Una realtà, che si vorrebbe diversa, ma che implacabilmente è.


Maria Attanasio

 
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