CATTEDRALI I
Pietra e cemento. Roccia, solido granito. Cumuli e cumuli di macigni, aspri, grevi anche alla memoria più attenta. Crepe che diramano in vene d’acqua. Laghi. Si aprono caverne primigenie, sontuose come regge alte come ardite cattedrali gotiche. Colonnati, cupole, antichi stillicidi, concrezioni calcaree, cristalli, orridi abissi insondabili come occhi puri di fanciulla. Chi cerca? Chi prega? Chi ottusamente implora tra queste plaghe deolate dal vento, tra questo roveto d’immagini simboli segni, palinsesti corrosi dal tempo, codici indecifrati e indecifrabili? Chi con querula voce pretende risposte che nessuno possiede certezze impossibili sogni? Il dubbio che tesse altri dubbi, che scava e sconvolge è la nostra sola certezza. Il dubbio che affascina e abbacina che ricrea e distrugge ancora risibili inganni, altri più futili ancora, ancora più amari, in una rincorsa sfrenata che sempre ci umilia e ci lascia più arido il cuore. II Picco pietra cemento. Roccia che dirupa su mari di fragile vetro. Nebbie che avvolgono mattini odorosi di timi nepitelle e origani. Umidi voli di leggere gazze, perlacei sopori, soffusi lucori che ingemmano felci e pruni e pini e gli eucalipti alieni. Affardella il vento o srotola soffici tappeti giallo-oro fuoco di tramonti. Infuria con voce d’uomo irrompe per gole scoscese, per dirupi che frangono vecchi equilibri, enimmi di statica burbanza. Forse è la roccia che si incrina alla furia dei venti e delle piogge a creare fantasmi alla memoria. Forse è la vita stessa che declina immagini e sogni e desideri in promiscua attesa. Forse è il dolore, la gioia, la paura o l’orrore per l’inconoscibile, che ci sospinge, come uccelli di passo a miti cieli, in cerca d’equilibri più sicuri, di zone chiare, di gioiosi annunci. IL MARE É IL MARE Il mare è il mare, così i prati gli alberi le foglie e queste nubi che svenano tramonti, altri, lontani, riboccanti di luce, di antichi odori, di semi alati, arcobaleni alti, inverecondi.
Tessono tenaci ragnatele i ricordi, i rossi accesi come ferite infette, gli ocra maliziosi, i casti azzurri e i verdi e i rosa e i grigi. L’infinita varietà dei grigi: gravidi di tempeste o di perlacei stupori, albe dorate, attente alle flebili voci che vibrano nell’aria e danno vita alla vita. E gridi di calandre, il pigolio sommesso delle pernici, lo zirlo dei tordi, il tubare indiscreto delle tortore, il vanitoso schiamazzare delle gazze dal becco forte, avido di putride carogne. Si alzano nebbie, gonfie, mollicce come umidi veli appena sciolti dai venti che si rincorrono allegri sulle tenere ariste. I mandorli inquieti. Il carrubo altero che dà riparo ed ombre. Il mare è il mare, così i prati gli alberi le foglie… ed io otra cosa no soy que esas imàgenes.
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