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PAOLA FEBBRARO

 

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Dio mio come sono cambiata
sono la stessa di quando sono nata

 

    Che grande coro di voci poetiche ha chiuso un millennio e ne ha aperto un altro, a ogni singola voce dobbiamo essere grati. Grati per la faticosa resistenza che ogni poeta deve opporre perché la sua nota, la sua voce, risuonino nel rumore indistinto, nemico che ogni giorno ci umilia anima e orecchie.
    Udii per la prima volta la voce di Paola Febbraio grazie all’editore Manni ( non ci fossero i piccoli editori a pubblicarci le opere prime e magari anche le seconde e le terze, poveri noi ). Il libro aveva un titolo forte: La rivoluzione è solo della terra. « Prepotentemente, fin dall’inizio, chi scrive è interamente parte in causa…sottomette la parola al tempo biografico » scrisse Marco Caporali, passando poi ad analizzare, tra l’altro, il rapporto tra il « lavorìo del mondo » e il lavoro del poeta.
    « Nessuno ti dice perché custodisci / e se è l’opera a custodire se stessa allora ci nascono i figli / come lunghi alberi silenziosi » ricordavo questi versi e una prosa poetica sugli animali, sui cavalli sotto i gioghi delle carrozze « che quando riesci a beccarne lo sguardo dicono è fatta speriamo che presto finisca la pagliacciata…», sui piccioni che tutti odiano tranne Paola e la sottoscritta ( io li vedo come simbolo della fame del pianeta, mi sembrano omini chini a cercare le briciole della sopravvivenza ), e sugli uccelli in « nugoli neri che quando son rondini ancora ci fanno vedere le forme che prende la vita in un gruppo…», passaggio bellissimo che trasvola con naturalezza da loro abitatori del cielo a noi inquilini della terra espulsi dalle geometrie altrui, sempre più stralunati di solitudine.
    In quegli anni la notte di Paola era forse chiara e senza vento, oggi la sua luna « fatica a splendere », «turbolenze » spaventano la sua chiara aria, in questa nuova raccolta la poetessa « porta le sue mani dietro la schiena / come un contadino sulla sua terra », sta « facendo i conti / con la pazienza »Con la pazienza, con i tradimenti della natura, con le sospensioni forzate come sulla poesia «Tavoletta d’ardesia »: « poi, dopo la nostra telefonata, è arrivata anche qui, l’acqua sotto forma di pioggia, grandi scroscioni per tutta la notte. Caro Giampiero Neri, ».
    Mi sento lettrice che mentre legge Paola Febbraio cammina  lenta per una strabella, una specie di Don Abbondio ( un po’ più poetica spero ) che ogni tanto interrompe la lettura per guardarsi attorno, « tenendo dentro per segno l’indice della mano destra »; o mi sento una che cammina in una navata di chiesa e a un tratto l’organo attacca poi tace e parte il coro e nel coro riconosco la voce di Paola, mi volto, guardo in su, tendo l’orecchio « amo il ciclo del giorno e a lui mi sposo » sta cantando lei dal posto che le è stato assegnato, e il rosone alle spalle del coro risponde a modo suo con colori attraversati dal sole. Anche Florinda Fusco, in una recensione dello scorso anno in Februaria, vide la poesia di Febbraio come qualcosa  sospeso nell’aria, « un cubo trasparente, a seconda delle angolazioni ne vediamo una diversa faccia, scopriamo una rifrazione di luce differente ».
    «Questa lingua (“rendimi riempimi rovinami”) potrebbe essere quella delle pazze sante – scriveva da un’altra angolazione Brunella Antomarini – ma il dio pregato di entrare il lavorìo, un dio qui, senza auto-annientamenti, elevazioni o trascendenze ».
    Poeta complesso Paola Febbraro, dalla voce spaccata, franta, che mentre in un sol fiato ( con i suoi celebri versi lunghissimi ) ci  spalanca un mondo ( « dio come sono cambiata sono la stessa di quando sono nata »), contemporaneamente, come un colpo di vento improvviso che sbatta e chiuda porte e finestre, ce lo sottrae alla vista per spalancarcene un altro:
Mondo? Ma è solo un piccolo pezzo di strada asfaltata
Meglio!
Mondo? Ma è solo una giornata.


Vivian Lamarque

 

 

 
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