ZANZARA DELLE QUATTRO 100 racconti in 100 parole Premessa “Che bellezza, mi chiedono un testo di cinque cartelle, di 60 battute per 25 righe…Non c’è nulla di meglio di una condizione per accendere la bravura e la voglia. Diffido di chi, per creare, vuole a disposizione un infinito spazio e un eterno tempo. Il più delle volte ne nascono sgorbi.” Così Gesualdo Bufalino ne II malpensante. Non ne sapevo niente quando, per gioco e aderendo ad una proposta, ho provato a scrivere un racconto che non superasse le cento parole, poi un altro, poi un altro… Sono arrivato a scriverne più di quarantanove, e confesso che a momenti mi sono pure divertito nel gioco di sottrarre o aggiungere parole, spesso con serioso impegno, caparbio, come se stessi scrivendo cose importanti, cioè che importassero a qualcuno. Alcuni amici ai quali ne accennavo via via che proseguivo nel mio intento pensarono volessi evocare gli “esercizi” di un autore che stimo moltissimo ma rimane estraneo a questo lavoro che pur proponendosi analoghe finalità ludiche non vuole limitarsi soltanto a questo e dimostrare, con insistenza, la possibilità di un racconto di abitare uno spazio, e il suo limite. Se altro dovesse venir fuori sarà stato per merito della sensibilità di chi legge e appena un poco mio, poiché, come è stato scritto, il sapore della mela non sta nel frutto, ma nell’incontro del frutto col palato. Resta chiaro, comunque, sia per me che per i miei venticinque lettori - uno in più, uno in meno – che abbiamo voluto giocare con le parole, con fatti ed esperienze che credevamo archiviate, con facili invenzioni che il quotidiano ci suggeriva, così con le misure che moderne tecnologie rendono facili e possibili, ad insaputa di Huizinga per il quale ogni gioco (quindi anche il nostro) è una faccenda assai seria. L’autore 1.
Zanzara - Ecco, dopo avere aliato tra i capelli, lieve è scesa e mi ha punto. Devono essere le quattro. Inutile da questo momento cercare di dormire, idee, pensieri e pensieri senza idee vengono e vanno: un ruscello irrequieto gorgoglia dentro la testa. Raccontare è un vizio come sosteneva qualcuno, un vizio assurdo, o un modo inventato dai solitari per tenersi un po’ compagnia? Ricordo, a Padova, nel ’56, mentre montavo la guardia al carcere militare, nelle ore notturne mi raccontavo e raccontavo cose. Anche lì zanzare, zanzare a mai finire. Ne ho messe tra le pagine di un libro. 2.
Via Macqueda, Palermo, ore undici. Il Viceré non s’affaccia né scende. Un viavai di carrozze, un trotterellar di galoppini e di servi, sculettar di cameriere superbe dei titoli dei loro padroni: baroni di qui, marchesi di là, tutti a inventarsi una Trebisonda, un antenato Grande di Spagna, Elemosiniere a Siviglia, Ciambellano da qualche altra parte. Qualcuno si ferma a osservare i libri in vetrina, belli, interessanti, fanno persino arredamento – una macchia di colore, diceva l’architetto che non li legge – ma cari, ma cari! Volevamo regalare dei libri al capoufficio, per il compleanno, ci dissuasero subito: - ne ha già uno. 3 - Nei giorni belli, assieme a mio fratello Deodato andavo per libri, Eccellenza! Passavo giornate sull’amaca, a leggere, leggere, leggere, Oh, come mi sentivo felice. Come dice il poeta (ma lo dice?), il paradiso degli uomini è sul dorso dei cavalli e nel cuore dei libri (o dice il contrario ?). Anche a Voi piace leggere, Eccellenza? Mi guardò con disprezzo: – Io sono un barone! Anch’io baravo qualche volta per fare buona impressione, e di libri ne avevo letto solo uno rubato all’edicola della stazione - nel lontano ‘47 - assieme a un mio amico. Io facevo il palo.
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