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FRANCA ALAIMO

 


La Storia


Ha il mallo marciume la noce
Odora di muffa il cuore.
L’acqua ha dilavato da tempo
Questa ruvida roccia sempre
Più brulla fino a briciarla.
Solo una rimula à rimasta
Per l’anima tutta tremula.


Angiolo bello


In chi sperare se non in Te
Che mi aloni ed ambuli la vita
Insieme a me; immagino
I tuoi piedi senza polvere
Né stanchi come i miei
Per esta selva selvaggia e dolorosa.
Angiolo bello, pelle fine di rosa,
Invernicia i miei dodici mesi,
Dammi un mannello di gioia,
Fammi bere una peverada
Di soavi sapori: cannella
Di paradiso, vainiglia d’amore
Fiori di garofano a pascore.
Angiolo, come mi malcontenta
La valle disfiorata di quaggiù,
Tutta rovi e rovente procella;
Una bella dimora concedi a me
E una giunca screziata di luci
Che scivoli sull’acqua de Letè
Oh, io vorrei che soli Tu ed io
Fossimo presi per incantamento…


Testamento


Voi sonanti mie creature
Di pelle nuda solitarie
Venite nel pertugio terroso
A seppellire nello scuro
I segni del mio teatro
Mentale. La campana
Che batte le sue vocali
Funeree sa le vostre ansie;
Ma in quiete ora dormite
Sopra i fogli, figlie
Mie senza più voce
Gemmate dal mio corpo
Di silenziosa cera
Che lentamente il tempo
In poltiglia sface.


Ianua Regni


Il lucernario di facelle distanti
Accese sulla casa terrosa
Non è che immanente dilemma
Ché la mente non intende la causa,
L’eternitade del tempo, e forse
Lo spazio si espande per vuoti
E milia universi nascosi, e forse
Sono le cose illudenti miragli
E noi ciechi e sordi viviamo.
Ma il pensiero non cessa
E sempre alla morte domanda:
Quale ianua si apre, per dove,
Tra galassie e strade di latte
E perché mi tormenta il rumore
Dei morti pallenti che piangono
Ancora  novelli di fiori marciti
Sul cuore: Remotissimo Dio,
Ti invochiamo d’aperire il tuo regno,
O ti diamo i pugni sul petto!


L’Annunziata


Mano palombella virginale
In volo solitario nello spazio
Della tela pinta di scuro, bianca
Che hai vinto lo peccato duro
Col tuo cenno senza dubbianza,
Mano che sposa lo fervente Amore
Da cui fiorisce l’albero bello
Con benedetto frutto redentore;
Nei tuoi dolci solchi destinali
Cade come seme il passato tempo
E si schiude il giglio dell’eterno.


Calendula franta


Fiamma amorosa
Che mi sei doglianza
Come potrò me confortare?
Appena se ne partì il vascello
Con i suoi baci ardenti
L’aria si fece fredda
Il cuore come neve.
Se in altri remoti spazi
Se ne va, di tetto in tetto
Ladro fuggitivo,
Io, calendula franta
Da troppo spiro di vento,
Discolorata appassirò.


Me in oblio


Buio coltello che mi trapassi
Il cuore, mentre effluvia il sangue
Tristezza desiderante. Non più
Baci con sapore di giacinto
Ora che l’oscurità nascose
Il nostro amore e come mare
In seccura  il corpo è rimasto
Tra detriti di memorie.
Ed ancora vorrei dire
Altrove. Ma nella notte
Lunga scia di fiamme ardenti
Ed altre da molti eoni morte,
Ed io ero, fui. Quando taciterai
Ostinato cuore? Fra i molti semi
Seminati nessuno per l’eterno
Germogliato: la vita s’insepolcra,
Il respiro sbiadisce, la gazza
Di schianto cecidit dal ramo.
Che può il verbo del poeta?
Dicono che immortale la vita
Risorga nei suoi regni.
Me in oblio lasciate
Con mio smorto amore.

 

 
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