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CONCETTO GUZZETTA - TESTO DI FRANCO SPENA

 

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I SOGNI HANNO LE ALI


C’è quasi sempre dentro di noi un mondo incantato e misterioso che vive al di là dei giorni, del nostro passare nel tempo e che noi ci portiamo dietro come un bagaglio prediletto, che magari non conosciamo perfettamente ma dal quale non riusciamo a separarci. E’ un mondo che, magari quando trova uno spiraglio per esprimersi, prende le ali e sfugge dal segreto e ce lo ritroviamo intorno come un respiro che ci dona aria  e vita.  Sembra allora di essere, capita, dentro uno specchio, nel quale vive il nostro contrario o il nostro altro che solo noi riusciamo a leggere. Davanti allo specchio, nel riflesso di una realtà che non c’è,  distanti dalle grammatiche del reale, a volte finiamo per riconoscerci in un vocabolario di parole segrete, quelle che usano i desideri e i sogni, e diamo vita a un discorso che dice di noi e ci esprime per le vie di una levità che ci fa prendere le ali.
Italo Calvino nelle “Lezioni americane” dedica un capitolo alla leggerezza e, parlando del proprio lavoro dice: “La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso, ho cercato di togliere peso ora alle mie figure, ora ai corpi celesti, ora alle città”. Operazione questa che non ha coinvolto l’oggetto dello scrivere soltanto, ma, come egli stesso dice, “soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e del linguaggio”.
A parte la sottrazione di peso che l’artista opera, scarnificando la materia per ridurla all’essenzialità della forma, è quasi una ricerca di leggerezza che Concetto Guzzetta persegue sottraendo alla realtà i pesi che gli permettono di dare voce alla rappresentazione, di liberare cioè quelle parti della materia che costituiscono l’anima di un discorso  che proprio attraverso una riflessione sulla realtà finisce col liberare vie che appartengono all’immaginario.
Come togliere peso a un castello di sabbia, da portarsi dietro con una carriola, con le sue porte, le sue scale, le sue torri, i sui misteri nel tentativo forse di  custodire in casa, la grazia e la leggerezza di un sogno trasportabile e richiamabile tutte le volte che si vuole. La sabbia può sgretolarsi da un momento all’altro e lasciare svanire nell’eccesso di verità che il reale possiede, miriadi di granelli  ai quali stanno attaccati i mille sogni che ci aiutano a vivere.
Sospesi tra pesantezza e leggerezza dunque, cerchiamo un cielo che ci esprima, senza nuvole che offuschino lo specchio che ci protegge per trovare vie attraverso le quali sia possibile liberare i sogni, per trovare strade da percorrere col cuore. Proprio il cuore che Guzzetta lascia uscire aprendo il petto con le mani come una finestra che spalanca le sue ante al sole del mattino. Un cuore liberato, un cuore con le ali che quasi già respira di aria e sta per prendere il volo. Un cuore pazzo di desiderio, come la mucca che l’artista ironicamente sospende per un gioco drammatico o liberante e che guadagna il cielo sorretta da un palloncino.
L’artista si rivela così, anche nella misura del linguaggio, nell’impalpabile spessore dei bassorilievi, un narratore sottile, che racconta il mondo come se fosse una favola, col godimento di un gioco che ammorbidisce le parole come i segni e le superfici che sembrano  materializzarsi in una  scena che si rivela, quasi per lasciare affiorare  apparizioni leggere che sospendono il racconto nella magia di una irrealtà che diviene poesia. E lo fa anche con una ludicità disincantata, capace di trasgredire, come nel sogno, le regole della staticità e del tempo trasformando in simboli le immagini, non per farle dissolvere nella vita, ma per costruire con esse storie come memorie antiche, spiragli per la fantasia, archetipi, Kuros capaci di scavalcare il tempo e offrici la loro grazia immobile in un improbabile campo di calcio balilla.
Concetto Guzzetta così, senza dichiararlo, finisce per rappresentare il nostro tempo, un tempo che ha bisogno ancora di sogni per superare il peso e l’opacità di un presente che spesso non lascia spazio alla leggerezza di essere.
Per non perdere le ali. Come quelle non sorrette più dall’aria del drago che, nell’opera  “Il pentimento di SanGiorgio”, giace pesante e inerte per terra e non può più volare.


                                                                  FRANCO SPENA

 
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