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VINNY SCORSONE, di FRANCO SPENA

 


Sarebbe certo bello vivere in un mondo di favole tra re, regine e reginotte, fate, maghi, incantesimi, tappeti volanti, castelli incantati e anche streghe, suvvia!  Un mondo nel quale basta una bacchetta o una parola magica per realizzare ogni desiderio. Poichè forse è il desiderio che ci manca, in una realtà dove tutto è possibile e dove ciò che è desiderabile assume una dimensione mediale che ci circonda, ci viene incontro, ci sovrasta, offre tutto quanto è possibile o impossibile. Fino ad annullare l’oggetto del desiderio.
Il desiderio però ha a che fare col sogno. E il sogno per fortuna alimenta il desiderio, e restituisce fascino a  quello spazio nascosto dentro di noi dove la “fascinazione” non riesce a penetrare e dove ciò che è desiderabile  trova origine dai sentimenti.
E di sentimenti è intrisa la favola di Vinny Scorsone che naviga tra le categorie di Prop, dalla partenza alla rivelazione, al ritorno. Con passo agile e leggero. Direi anzi poetico, per la levità di un modo di raccontare che riconduce alle sere d’inverno quando erano le nonne a farci sognare seduti attorno al braciere. E chissà perché noi chiedevamo quasi sempre le stesse favole, quelle che ci avevano colpite nel cuore, quelle che ci appassionavano, anche se ci facevano un po’ paura, quelle che sapevamo quasi a memoria e che ci piaceva sentirci ancora ripetere, ogni sera, quasi per obbedire ai segni di un rito misterioso che, parola dopo parola, ci portava in un mondo dove il tempo si muoveva per altri accordi o per altre armonie.
O disarmonie, perché nel tempo che non esiste delle favole, tutto si fa presente e porta nel cuore quella soave magia che anche ci faceva prendere sonno e ci faceva tornare a sognare. Il personaggio ricorrente è ancora la nonna – che racconta alla nipotina Nina la favola del Re Simeone - che a sua volta da sua nonna aveva ricevuto l’oggetto magico che avrebbe aperto le porte della fantasia. E la nonna è ancora la compagna di viaggio dell’avventura di Nina alla ricerca del castello senza regno e senza reame, senza sudditi, senza corte e senza esercito del Re Simeone che ha attraversato il tempo; un gatto filosofo che ha viaggiato tanto e porta con sé memorie antiche,  che racconta storie, declama poesie e canta. Tuttavia un castello dove si celebra il Natale in  un modo diverso, dove si regalano i non doni, che sono segno di solidarietà e di amore; un luogo dove ancora il desiderio di conoscenza della protagonista non è privo di pericoli e disavventure.  Come nel caso della protagonista che spinta dalla voglia di conoscere, non viene compresa dai gatti che la fanno prigioniera, vedendola come oggetto di diversità.
Come nelle favole i pericoli sono prove che vengono superate per avviare la vicenda verso il lieto fine e Nina  apprende il dono della solidarietà, rischiando di non essere compresa, ma accorgendosi  di avere a portata di mano anche lei la magia che fa passare tutti i mali e che dona felicità.
 Per fortuna nelle favole, alla fine, tutti vivono felici e contenti, ma con nel cuore qualcosa in più che illumina i passi della vita. E questo è forse la metafora di un presente dal quale ognuno di noi, per un po’ vorrebbe fuggire, per oltrepassare la siepe che ci separa dal mondo dei sogni, per rifugiarsi in un castello dove si ritorna bambini e ci si dimentica del tempo, per tornare nella città che ci avvolge con un messaggio nel cuore. E nella città Tessari ambienta le sue illustrazioni, facendo muovere i personaggi all’interno di grandi graffiti metropolitani che nominano tautologicamente alcuni luoghi chiave della favola.
Le parole divengono così architetture inquietanti, fondali assenti, che accentuano il senso di solitudine di chi vuole spingersi oltre le parole di ogni giorno. Parole le cui lettere divengono metafisici edifici impenetrabili che sovrastano la parola “siepe” che è il “magic point” e la macchia verde di speranza che apre le porte al mistero. Parole innevate, che sanno di lontananza, come la “finestra” dalla quale Nina si sporge per cogliere, oltre le quinte delle lettere, magici passaggi da oltrepassare.
Per poi tornare con altri sguardi e dare vita a rinnovati discorsi dei giorni, con quelle parole d’affetto che possono fare esclamare anche noi,  come Nina, “Che splendido Natale”.

                                                                                   FRANCO SPENA

 
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