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MILENA NICOLINI

 

sono gli anni del distacco
ogni giorno mi congedo
dalla carne di mia madre
spio la palpebra sempre più pesante
sull’occhio di mio padre
e gli amici tutti sparsi nei propri dolori:
ci sentiamo qualche volta come ultimi
di passaggio in fretta imbarazzati
di essere ancora vivi
e l’Edda ha un tumore e tempo contato
(se era garanzia della mia eternità

 


li capisco li so
certi film come Psyco
e le mummie, il golem,
le reliquie dei santi trasudate
di carezze e di baci

perché così, potessi, anche così
soltanto li terrei
da toccare ogni tanto
con pudore
materia putrescente o impietrita
matermateria sacra
amata


viene il pensiero così:per Natale,
sarà par Natale, quando sarà
(ma avanti molto avanti ancora
perché adesso la tengo per la giacchetta
qua, a darmi da mangiare

non ci sarà più il presepe, impossibile
Gesù nel fiato dell’asino del bue,
la madre

solo Cristo in croce
quando muore


la mia amica dice: come un tunnel
un cilindro vuoto che mi attraversa
dalla testa ai piedi
non avere più mia madre
dagli otto anni

ne tremo io che
la perdita
sarà sicuramente
dopo i cinquantotto

 


dice di lasciarla andare
che è stanca e prima o poi e che
-non lo ripeto sempre?
di là si sta bene quindi

ma non ci riesco e forse mai:
come se l’universo poi
non potesse amarmi più,
quell’esclusivo darmi essere
senza niente in cambio

neanche mi consola che di là
possa rincontrarla
se avrà diritto al meglio di sé:
giovane, bambina, figlia anche lei
e se anche le fosse tutte insieme
però questa cura totale quest’amore
che a me la risucchia e l’annienta
non ci sarà più
né il suo farmi divina

così la tocco la guardo
già con nostalgia
quel suo continuare a darsi madre
che la chiamo: mater dei
e madre di dio infatti
la strada maestra, la certezza
perché in lei ho sentito dio
perché lei è dio
perché lei, madre,
l’ha creato nel mio io
dio


ho sognato l’acqua e mi porta male:
che bruciò il fienile l’ultima volta
cinquanta, anche più anni fa, però
non conta, il segno è quello – dice
ma nuotavo bene, forte e Gino dietro,
lui che aveva paura contro la corrente,
io no
e poi siamo arrivati a un’acqua larga
grande e: siamo salvi qui nel mare!
nessuno che s’annega allora
perché dire che fa paura?, o Gino

che sta dietro fa impressione, ma no
è solo che se anche succede spesso,
lo sogno sfuocato, la faccia così imprecisa!
che  capita coi morti, chissà come
puff! no!, tutto lo zucchero per terra!
proprio mani di ricotta, ma che sfortuna
!
Ecco, vedi, il sogno lo diceva!

(come un baccalà in neve di melassa
gelato da fantasmi e profezie:
ah sì, per stavolta è andata bene
ma la paura, babbo, la paura!


sogno con mia madre

 

per metterla in ordine al viaggio
distesa nel letto accanto a me
toccavo le sue gambe more come
di mummia, attenta a non spezzarle,
a non sbriciolare le dita il piede
e intanto parlavamo e lei morta
era viva

poi lungo il sentiero di notte
tra bossi e sirenelle sotto il noce
la conducevo diafana leggera,
alla mia casa più profonda, a me
dove farla stare, e per un tonfo
della notte lei sobbalzava stretta
alla mia mano
è così da morti le - dicevo
fanno paura certi suoni nella nebbia e
poi da soli

e portandola avanti
sapevo che l’avrei dovuta staccare
dalla mano
ma da me indistinguibile ormai


la beneandante

 

andavo in campagna
insieme – che era come dichiararlo:
per amarsi d’amore
e una donna col fazzoletto che li guarda

senza capire, lui
e la morosa gli risponde: non dirà niente,
è mia madre
- già morta anche nel sogno
 e sconosciuta a lui

mio padre fa sogni
da rabbrividire
come già in paradiso

 

 
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