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da Dalla periferia dell’impero. La stanza degli dei. Stanno marmorei ed immobili e in perpetua fissità loro, i custodi del nostro destino , gli dei da sempre arroccati in una innocente malvagità. Sono prima e dopo il movimento : non conoscono né la pioggia né il vento e neppure la foglia che trascolora; non li commuove il naufragio dell’ora. Solo un dipinto di antica scuola racconta come qualcuno ha socchiuso quella porta alle loro spalle ( come uno di loro si è voltato al debole scricchiolio ed abbia fatto poco meno di un cenno di inteso o di addio ) Omaggio alla pittura. Che senso può avere una vetta lontana , una città cinta di mura e di bandiere garrenti ai pazzi venti della pianura ? E, in mezzo , una fontana che dimentica il proprio moto nel segno estatico della pittura ? Guardandola si pensa al tempo che è figlio della nostra originaria empietà, ma si spera di essere testimoni affidabili di una innocenza alla quale, un giorno , si tornerà. Ma l’evidenza non è così piena e completa. Non è concesso di capire a chi sia rivolto il sorriso dei piccoli pattinatori. Tornano a casa i cacciatori attraverso uno specchio di gelo, ma non guardano quei visi ridenti ed accesi, soli nella loro felicità, eternamente indifesi.
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