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GIORGIO MANNACIO

 

da  Dalla  periferia dell’impero.
                                           

La stanza degli dei.

Stanno
marmorei ed immobili
e in perpetua fissità
loro, i custodi del nostro destino ,
gli dei da sempre arroccati
in una innocente malvagità.
Sono
prima e dopo il movimento :
non conoscono né la  pioggia né il vento
e neppure la foglia che trascolora;
non li commuove il naufragio dell’ora.
Solo un dipinto di antica scuola
racconta come qualcuno ha socchiuso
quella porta alle loro spalle
( come uno di loro si è voltato al debole
scricchiolio
ed abbia fatto poco meno di un cenno
di inteso
o di addio )

 

Omaggio alla pittura.


Che senso può avere una vetta lontana ,
una città cinta di mura e
di bandiere garrenti
ai pazzi venti della pianura ?
E, in mezzo , una fontana che dimentica
il proprio moto
nel segno estatico della pittura ?
Guardandola si pensa al tempo che è figlio
della nostra originaria empietà,
ma si spera di essere testimoni affidabili
di una innocenza alla quale, un giorno , si tornerà.
Ma l’evidenza non è così piena e completa.
Non è concesso di capire a chi sia rivolto
il sorriso dei piccoli pattinatori.
Tornano a casa i cacciatori
attraverso uno specchio di gelo,
ma non guardano quei visi ridenti ed accesi,
soli nella loro felicità,
eternamente indifesi.

 
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