CARMELO PIRRERA |
Delusa, ormai senza rimedio l’aspirazione alla libertà, dissolto l’ideale della « polis » e declinante il vincolo familiare, attraversiamo il momento di timori ed incertezze che fu proprio dell’epoca ellenistica, quando gli déi civici venivano sostituiti da déi stranieri e dalle persecutorie divinità astrali. Questa nuova raccolta di poesie di Carmelo Pirrera « La farfalla di Brodskij » vede la luce dopo prove altrettanto significative come « Quartiere degli angeli » del 1968, « Con la banda in testa » del 1971, « Quest’animale muore » del 1976 e « Dalla parte del Minotauro » (1981), per citare solo quelle che noi reputiamo più importanti. E’ un libro composito, un labirinto dalle molte entrate, un reticolo di suggestioni tracciate nel corso degli anni, ad indicare il cammino dell’uomo, lungo traiettorie di pensiero che si perdono nella tessitura infinita dello spazio culturale e fisico: « Per quale gioco / vita morte e cosmo / in un muovere d’ali senza meta? » , « Di quale mondo, / di quale altro universo senza peso / rechi novella agli occhi? » il poeta si domanda nella poesia « La farfalla di Brodskij » che fornisce il titolo alla raccolta. Raccolta di sogno e di memoria, di ripiegamenti interiori e di scoperta del mondo. Il poeta aspira a fuggire da tutto ciò che è irrimediabilmente grave, pesante ed arido per raggiungere una dimensione di libertà e purezza. Sapendo che il possesso di ogni cosa materiale nasconde un tormento continuo, cerca di riportare questa conquista ad un ordine superiore, ad un suo piano diremmo metafisico, per il tramite di una scrittura limpida, di uno sguardo il più possibile vergine, intatto, colmo di attenzione per la vita, i suoi miracolosi riti e i suoi lirici inganni. Come in questa « Talismani » scritta in memoria di Italo Calvino: « Il bisturi frugò tra i suoi racconti / flusso breve di liquide memorie / e un mazzo di tarocchi, / di destini, l’arcano della luna / e del bagatto / la papessa sfrontata / in una verde / evanescente nuvola di fiele ». Qui, nel dominio della parola, nella ricerca continua di liberarla dal suo margine d’ombra, si manifesta le stessa relazione tra visibile e invisibile, tra realtà e immaginazione, tra bene e male, che trasformò il vaso di Pandora nell’angolo necessario della terra, essendo anche i veleni alla base della salute dell’uomo. L’impasto di magia ed ironia, di moderno e antico, di politico e favoloso dà luogo a tarsie di fatti e di situazioni , di attese delle risonanze interiori che segnano il punto a innesto tra il passato e il presente, tra l’esperienza umana e quella storica alla quale – quando vissuta intensamente – non si può più rinunciare. Nei versi di Pirrera s’addensano e s’intrecciano scansioni emozionali, dialoghi assidui, quotidiani colloqui e gesti che riattingono ad una loro, oseremmo dire, religiosità. Sono segni necessari per fare scorrere l’immaginario che è in noi: « Così t’invento, albero e giardino, / nostalgia dell’aprile / e sua tristezza. / T’invento maggio, con rose e spine / con parole e silenzi ed api e miele » . L’omaggio più tenero e più alto che un ‘figlio’ virgiliano abbia mai scritto per il proprio Anchise contadino ( « Anchise con api negli occhi » ), in un legame profondo, quasi di sangue, con la terra. Leggendo queste poesie, ci sorprendiamo a pensare a Bach, ai suoi corali, che per la maggior parte trvò già composti, tramandati da un’antica tradizione con radici medioevali. Anche Pirrera – cantore della lotta sociale e della natura – adempiendo come a delle indicazioni di pastorali luterane per le quali la poesia risulta essere necessaria per avvicinare il popolo alla bellezza, alla preghiera e all’eterno, costruisce spesso le sue poesie su temi o canzoni o ballate popolari, secondo uno schema libero e fantasioso, per unità di battute che « dialogano » tra di loro. « Che cosa sei, se pure sei / una cosa / e non, invece, specchio / d’altra pena? » , il poeta domanda alla sua farfalla ed essa pare rispondergli « Vita e morte / sono un brivido solo » . Sotto il peso delle parole non è forse il tempo, anche per la poesia, o di morire definitivamente oppure di rinascere prepotentemente dalla sua cenere e siccome araba fenice darsi una diversa orbitazione, una diversa prospettiva di comunicazione di vita? L’Omero-Pirrera ha già lasciato da tempo Achille e Odisseo per mettersi davanti alla sua macchina da scrivere e raccontarci dell’armonia di altri universi, « altro luogo l’esilio / e altro pane » dove si possa andare « verso un altro epilogo / meta segreta o fiume » e « scendere / fino al cuore, alla radice » . « Se l’amore era luogo / sarà facile / anche questa volta » ci assicura il poeta.
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