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LEOPOLDO MAZZOLENI - TESTO DI FRANCO SPENA

 

 

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Mostra effettuata in GIARRE (CT)
Nei locali della  FABBRICA FINOCCHIARO
Corso Italia, 199

LEOPOLDO MAZZOLENI
CONTENENDO
A cura di Angela Vignolo

La rottura della pertinenza, frattura la storicità dell’oggetto per ricondurlo a quello stato di “matière”, come direbbe De Saussure, che gli consente di essere riletto, indagato, ricondotto a nuove storie, ri-conosciuto,  ri-definito anche da quei particolari punti di vista che lo fanno riconsiderare sul piano estetico. Sul piano di altre storicizzazioni possibili, funzioni comunque allestite per suscitare quei coinvolgimenti, dei quali è capace l’arte, che producono stupore e meraviglia. Quello stupore che orienta, al di là dello straniamento, nuovi o diversi sguardi d’affetto nei confronti delle cose, di quanto ci sta intorno, dei fatti che ci appartengono e che ci distruggono e che ci formano.
E’ sul piano delle emozioni infatti che si muove la ricerca di Leopoldo Mazzoleni per il quale gli oggetti del quotidiano rappresentano il punto di partenza per un viaggio che coinvolge la forma e gli elementi che la conducono ad essere tale. Ecco perché il suo lavoro, si spinge oltre il primo impatto visivo, animato dall’entusiasmo, per praticare quell’uscire fuori che permette all’artista di rileggere le cose operando analisi che, mentre lo pongono in una situazione di razionale distacco dalla realtà, gli permettono di operare ritorni che lo portano a riamare l’oggetto attraverso le sue parti.
Ecco perché la frammentazione delle cose, la lacerazione, la separazione provocata dalle fratture intenzionali della forma, acquista la sacralità di un rito che attraverso il sacrificio compie un’azione che conduce alla rinascita, alla conquista, al ri-conoscimento di un cammino di conoscenza che porge l’oggetto stesso distrutto e rinnovato allo sguardo. Frammentato, diciamo, rotto, ridotto a lacerto, a frammento, a sillaba che ha bisogno di essere ricomposta, ricucita, riallineata per divenire ancora parola, per farsi ancora architettura del discorso. Di un discorso che richiama in vita il suo contenuto, ricollega la cosa alla realtà, recupera quei tratti segnici che, mentre riallacciano i fili al presente, si ri-presentano alla visione, anzi si rappresentano, e non solo, come elementi di memoria. Poiché, fondamentalmente, sono tracce del cuore quelle che Mazzoleni ripercorre, ricompone, come un appassionato archeologo, rimette insieme, ri-sistema; poichè è “CO-NT-EN-EN-D=O” che si scende all’interno delle cose, penetrando in ciò che la forma contiene, appunto, alla ricerca di ciò che le compone, all’interno di quella materia che esce fuori dalla loro frantumazione e che continua a mantenere il mistero della loro impenetrabile anima.
Ci si accorge allora che lo sguardo dell’artista è volto a un’indagine dello spazio, dei suoi pieni e dei suoi vuoti, di ciò che sta dentro e di ciò che è esterno, del suo alto e del suo basso, attraverso la composizione - o la scomposizione, è meglio – di viluppi di superfici che appaiono strade interrotte, percorsi provvisori, luoghi di precipizio all’interno dei quali scoprire vie di orientamento, o di disorientamento, per trovare le stazioni, le soste di un viaggio che sembra svilupparsi per antinomie.
Un viaggio che sul piano visivo pone una messa in relazione della globalità dell’oggetto con le sue parti, del situarsi delle superfici attraverso la loro scomposizione, attraverso la sovrapposizione e la separazione dei piani. Attraverso, possiamo dire, la ricerca delle loro memorie come spazi mobili, incernierati, che  richiamano l’immobilità che li origina, che riunisce presente e passato, presenza e assenza, per le vie di una emozione che si rinnova ogni qual volta l’artista si pone come elemento di collegamento, come collante che riattacca reperti di una memoria antica per ricondurli al tempo, quasi, può darsi, per esorcizzare un senso di colpa che lo spinge a una elaborazione totemica dell’oggetto, per una pratica che lo riscatti dalla sua distruzione.
Per questo il lavoro di Leopoldo Mazzoleni, “Contenendo”, rimettendo insieme i frammenti, incernierando scatole tagliate e scomposte, riavvitando tazze di ceramica spaccate, ricalcando nel denso spessore di impasti di carta lavorati a mano oggetti domestici, cose che appartengono alla quotidianità, finisce per operare una riflessione dai caratteri intimistici, con l’atteggiamento di chi si legge sul piano esistenziale per scrivere, in maniera quasi crepuscolare, un diario al quale si affidano quei momenti della vita che non trovano parole per essere espressi, che comunque mandano in frantumi il cuore, o che è bello, in fondo, esprimere, dire sottovoce, forse quasi per non dire, per lasciare intendere quei trapassi, quegli scarti del tempo che attraverso il ricordo riannodano i fili sottili delle nostre storie. Anche quelle legate alla vecchie carte, alle scritture nelle quali ancora si legge l’appoggiarsi amoroso della mano, come quelle pause, quelle sospensioni del tempo, quelle virgole, quei punti che in fondo sono momenti di incantamento e di assenza. Si inseriscono così fra metalli, viti, cerniere e oggetti, fogli usurati e ingialliti dal tempo, bolli, ceralacche, antiche scritture sospese tra citazione ed evocazione, che riconducono l’attenzione sul gesto che consegna la parola all’infinito, facendola tornare a farsi pensiero ed atto d’amore ad ogni sguardo che la sfiora.
“La cellulosa di cotone lavorata a mano è l’elemento che ferma, che vela la forma e la storia dei contenitori che documentano l’attimo, matrice di altro attimo ancora.”, dice Angela Vignolo, “Gli utensili prestati ai calchi, sono congiunti e spezzati casualmente, primitivamente, con ferro attorcigliato, arrugginito da un tempo che non importa calcolare. Materiali estranei all’oggetto che muta, sperimentazione di storia che genera nuova storia”. La storia, aggiungiamo, che mentre consegna ogni cosa al passato, permette, al di là delle distruzioni e delle deflagrazioni operate dal tempo, di riconoscersi sempre, come l’artista, evento rinnovato che, nonostante tutto, diviene  artefice di se stesso, continuando a rinascere.

                                                                                                                              FRANCO SPENA

 
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