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ANNA TORRE

 

E’ vero che son donna senza patria 

 

                                                                 I   

Comprendo questi alberi

scorre la stessa linfa nelle mie vene

capisco questo cielo inquieto che cambia repentino umore

conosco questo mare

lo percorre sempre il vento

 

Ho un cuore che palpita d’onde

 

Amo questo ulivo verde-argento

le piccole foglie appuntite

la durezza del suo tronco

i suoi nodi:

la sua è la mia storia

 

E’ vero son donna senza patria

Umana in ogni luogo

Esule in ogni dove

Straniera in ogni paese

Cittadina in ogni città

 

Nata senza patria

senza patria vivo

 

Eppure ti riconosco terra mia

perché è anche di te che son fatta

perché sempre ti scelgo

                                                                     II 

Non torno

quando il rumore delle conchiglie

disturba le orecchie

e il vapore marino chiama l’olfatto

 

Non torno

quando il cielo batte le sue nuvole sulla testa

e l’aria sembra salata

 

Non torno

quando la pelle è siccità

chiede acqua e vento caldo

 

Non torno

Con le labbra spaccate

Le mani stanche

Gli occhi ingordi

L’ironia della mia gente

No non torno

Per non restare, per imparare

Non torno

Ma il mio petto

batte solo tempo d’isola

                                                               III 

Vento sulle pareti scrostate

il gradino di marmo è rotto

le venature

la scritta a matita sul muro

spezzano i pensieri

 

La macchia rossa

davanti alla porta di legno sempre aperta scivola

sul pavimento inclinato

scivola tutto il palazzo

tutto il quartiere

che odora d’erba e miseria

 

                                                    IV

 

                   

Roma: sogni metropolitani

 

I

 

Il cielo arancione

opprime le strade

L’uomo stringe con cautela le mani

Gli dico: << aprile >>

un enorme buco nero

si spalanca tra le braccia.

 

II

 

Assiepati

respiriamo umori umani

attendiamo di passare il confine

 

Oltre

ritroveremo sorridendo i fratelli

Oltre

canteremo l’intera notte

filastrocche da adulti

 

Dietro le spalle ora è il confine

 

Entriamo nelle strade

sono nere di muffa

Abbiamo paura

ma la gente spinge ferocemente felice

Non vede

noi siamo i primi a vedere

è tardi non possiamo più fermarli

 

III

 

Il fiume livido

vomita lamiere di auto sulla riva

le case grigi sudari

soffocano il vento freddo

Passeggio sotto gli alberi

il ronzio delle foglie

frantuma i timpani.

 

IV

 

Siamo in molti

io da sempre in piedi

schiacciata sulla porta d’uscita

La galleria è buia

sui ponti non vediamo la luna

solo il bagliore artificiale

delle nostre case

solo il luminescente neon

sui nostri visi

gialli e muti.

 

V

 

Nel bar

Siedo vicino al vetro

Dietro

la fontana zampilla

Contro milioni di uccelli

che assurdamente si affollano nella piazza

Contro i volti veloci indistinguibili

le macchine immobili urlanti

contro io e la fontana.

 

VI

 

Il cielo argentato

è muto

muto è l’uomo

piantata sulle gambe senza radici

desolata

apro le mani

 

                                            

 

                                                      V

  

Il Magreb

gioca a calcio

in piazza Navona

 

La sfera dorata e scarlatta

rotola tra le gambe dei turisti

rimbalza verso il cielo

tra voli preoccupati di colombi

 

Un tonfo

il pallone naviga

nella fontana centrale

 

Il ragazzo

un arco tra le sue guance

spinge nell’acqua il Marocco

questo veloce

trascina con se la Tunisia

 

Gocce scivolano nell’aria

rinfrescando i corpi

della gente intorno

 

Ridono gli studenti

abbandonati sotto il sole pungente

Ridono i tedeschi

organizzati in battaglioni guidati

Ridono anche i giapponesi

seduti sul marmo delle panchine

 

I custodi dei negozi di long drinks

vendono caffé colombiano

non amano la libertà senza prezzo

 

Il divertimento dei tavolini

ha comprato una piazza di Roma

Le divise chiedono documenti al sole

ma oggi è troppo caldo

Il gioco è appena iniziato

  

                                                    VI

  

Ho un corpo del Sud

faccia da terrona

colori inconfondibilmente scuri

culo pieno

Non ho mani affilati

Ho unghie corte

Cicatrici come ricami

Uno sguardo nero

E se scambiate il mio silenzio

per rassegnazione

o timidezza

Non avete osservato le gambe

piantate nella terra

e della terra non conoscete

l’idioma muto

  

                                                     VII

  

Sulla piana di mojo:

<< Che a tanti ha permesso

una vita dignitosa>>

curvano i pensieri grati

 

Terra

della bellezza

hai scelto lo stupore

Del saluto demoniaco

la derisione e il gioco

 

San Domenica e Floresta

Occhi scuri della neve

Processione del vino

1.000 anime d’inverno

1.000 uomini abitare

 

Testardo esercizio alla vita

bambini misurati come angeli

costretti ad alti pali

al vento avvezzi

 

Abluzione del tempo

Domicilio del pastore

Contadino ad ore

Commercio delle mani

Artigiano della voce

Canto rugoso del legno

Ulivo pistacchio castagno

Storia di giallo frutto

in ceramica dipinto

in teli versato

 

Raggio asciutto della terra

che assorbe il cielo

in una notte

  

                                           VIII

  

Cammino dentro rocce laviche

luccichio di nero

 

<< Cerco la mia terra>>

Sorride

ironica e furba

la bimba

nel petto

 

Vago tra i pali di legno

i fili tesi

del quartiere del porto

 

Aspiro vapore marino

Vernice fresca di barche

 

Sbatto sui portici finti

camuffati di marmo

La mano sbriciola cemento

nelle case vespaio

segue le scritte sui muri

e i muri senza voce

 

<< Cerco la mia terra>>

Mi compatisce la donna

nel ventre lo scialle

 le scivola sulla vita

 

Nell’odore della frutta

Tra le cassette del mercato

Negli uomini con i cappelli al naso

Nelle bocche sguaiate

Nei motorini veloci come topi

Nei compagni urlanti

per amore per devozione

Nelle facce contadine senza razza

Nei lavori più duri

Nella miseria

Nella storia misera

Nei narratori

e in altro ancora

 

<<Cerco la mia terra>>

 

Raccolgo in un cesto le mie origini

e di nuovo le scelgo

                                                                   IX  

Le onde viaggiano verso sud

trascinandomi sulle spiagge sassose

sulla sabbia sottile

sugli scogli neri

su coste d’isola

in mezzo al mare

Tra onde come me

fin sotto la luna

                                                                        X 

Di neve si cura il cielo

di gelida morbidezza

ricopre i confini

fiocca sulle teste

mescola le strade

Dune i marciapiedi

Luce della sera

Schiamazzo bianco

Vocio sugli alberi spogli:

Milano assapora il suo unico sole

Ostinati spazzaneve normalizzano

il silenzioso frastuono del maltempo

                                                                      XI  

Milano scura e chiusa

Mi appari piccolina

nel chiarore accennato della sera

Trotterellante e austera

nel cigolio del tram sulla rotaia

nei lampioncini accesi

in fila precisi ed essenziali

che dividono in due

il vuoto dei sedili.

 

Milano tenera e nebbiosa

di rigidità vestita

Nuda dietro al mistero

delle porte serrate,

grigia calda soffusa

solitaria e presente

 

Nella fluidità disabitata della notte

nel silenzioso attraversare

di qualche passante

                                                            XII  

Silenziosamente scavo

artiglio il vento

per seguire

la direzione delle nuvole

 

Un tunnel nel cielo

per non dimenticare

che intorno alla terra

è la notte

 

E la notte

ha altre terre

 

 
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