CARMELO PIRRERA |
NUGELLA
PROLOGO Sarà mutato persino il paesaggio e non ci sarà più un piccolo treno laggiù, dalle parti di Imera a fischiare nell’alba levando un pennacchio di fumo. Ascolto. Voci arrochite di sonno: la nostra rivoluzione cantata nell’ora che ancora una stella indugiava nel cielo e il mattino raffermo cercava le strade più buie di zolfo,di pane, di lagrime. La bestemmia feriva le costole a un Cristo compagno che a capo reclino, taceva. Ciascuno è emigrato a suo modo verso il mare, altro lido o paesaggio. E ci ingannarono rondini indicando le rotte dove la morte non viene. 1. E se mi stancassi di queste storie di fiumi di alberi di gente che mi trascino dietro illuso ch’esse siano la mia storia? Sarebbe sufficiente dire basta allontanarsi fingendo indifferenza mentre nessuno guarda. 2. Non puoi. T’hanno portato un libro non importa se parla delle nuvole. Corrono nostalgie di giorni amari e tu sei tu: povero sangue, memoria. Ripercorri le strade, ti soffermi davanti alle vetrine, ti riconosci: sei un vecchio ragazzo e ti sai orfano. 3. Un poco ti consola avere scordato le lagrime, ed un peccato – le femmine, la gola – ti lega a questo mondo a commercio vanesio di parole. Puoi sospirare l’età d’una tua ipocrita leggenda: i tempi d’una volta! Quali tempi? E’ il presente il più lungo, forse eterno, e vi scavi da sempre per un tesoro che sai non esistere. 4. Storie di fiumi, di alberi, di gente. C’è ancora un fiume a piangere tra macigni di zolfo. Nella tua gola piange e ti specchi in un’acqua senza peso dove riflesso un popolo do ombre chiede la carità d’una parola. 5. T’hanno portato un libro e parla delle nuvole – l’hai detto. Ti affacci a vederle migrare nei cieli di marzo, incostanti, volubili come l’anima. Quello che esiste è inganno dei tuoi occhi e resiste in un libro fatiscente. 6. Non perderlo, non perderlo – ripeti nell’alba che uccelli s’incontrano su un nuovo giorno, già ricco di scontati dolori. Già i primi rumori del giorno ti prendono nella spirale. Tu esisti, fai parte del giuoco in un ruolo senza importanza: sei quello che deve morire. 7. E allora perché il quando e il come porsi domande il mattino la scelta di una cravatta il nodo di lagrime? Fermo deciso in premeditato disegno è il destino. Ci illuse una corsa di nuvole nei cieli volubili più ancora dell’anima.
8. Vorrei avere ragione su essenze, su forme e destino; ma forse cerco soltanto una zavorra per questa pazza falena che vento trascina e disperde, come quando per solitudine m’inventavo un amore o per paura idoli di carta. Fu la tristezza che m’inventò nemici ed il sonno, un’ancora greve. 9. Ed è ancora colpa del libro se mi cerco in vecchie fotografie: qui siamo noi, è settembre, un santuario sopra la collina e una nuvola ferma da trent’anni. Nostalgia, nostalgia di settembre di nozze e di vino. Una piccola sposa tra i veli e tutto un tempo-romanzo da percorrere. 10. Tempo romanzo. Capitoli e capitoli inconclusi. Qui – vicolo assolato di Palermo a maggio un sussulto. E sarebbe bastato morire in un sonno di rose: una aveva un filo di spago sottile legato allo stelo, un piccolo cappio crudele. Non so se fu prima o fu dopo se ancora potrà riaccadere. Una e una soltanto ne ricordo e nella cabala assurda dei miei numeri torna unica rosa del mio maggio. 11. E la colpa è senz’altro del libro evangelico di sogni dispersi che tornano a volte e s’inverano per la durata di notti più brevi di un breve respiro. La colpa è del libro che certi giorni non trovi e poi scopri ricco di nuove parole con quasi una nuova malizia e una cresciuta ironia. 12. E ironizzando sulle nostre pene sulle vicissitudini dei giorni ci rendemmo signori di un mondo brulicante di ferite. Ecco il segreto: riderne, resistere mentre senti la corda che si spezza ed il cuore che affoga tra le lagrime.
13. Così salutammo i compagni che uno alla volta, sicuri varcarono il limite chiusi nel sonno più avaro. Avremmo voluto anche piangere per gioie svendute momenti perduti, silenzi. Ma, vili, stringemmo altre mani e cercammo in occhi superstiti conferma di essere vivi attaccati a rami più forti per prossime notti di vento. 14. Ti giunge un libro di nuvole e si complica la storia dei libri e la nostra storia di uomini sorretti da lievi parole ed attratti da forza fatale in gorghi di amaro silenzio. Si complica. Codici e formule sono strumenti desueti: sei solo, sei inerme sotto un cielo distante – straniero. 15. Già piove Eeson sempre gli stessi pensieri a rincorrersi nell’ellisse del cuore: tu cambi con lento travaglio, ogni giorno. C’è un tarlo che dentro ti rode, un segreto scontento. E la testa, la testa che fiero abitavi, spazi di deserta memoria accoglie e cenere lieve di fuochi che t’hanno consunto. Tu cambi e sei sempre lo stesso di là della vita che cede. 16. Abbiamo avuto compagni: volti, nomi,confusi destini. Se ne andarono e ognuno più soli sembrava lasciarci in una stagione di meste partenze improvvise e definitive. Viaggiano alte le nuvole e nei cieli di marzo nessuno, nessuno sa leggere. 17. Ti ostini a dare importanza A cose che non ne hanno, nugella : nuvole, libri, falene. Ferro, nichelio e fango coesistono nel cuore della terra le danno peso e senso forse equilibrio, forma, consistenza mentre le nuvole passano e si perdono. 18. Ha battuto per tutta la notte contro le tempie la finestra socchiusa ai ricordi, all’insonnia. Luoghi, gente e un’infanzia sciupata un cortile di sordi rancori, e i compagni incontrati nel mondo, e nel mondo perduti, ch’era quello nostro solo podere. 19. Confesserò senza pena un paese da dialetto duro con strade che il mare non sanno e muri con scaglie di vetro; fontane che piangono a volte per treni che tardano e gente che parte con sguardo di pieno rancore. E non è nostalgia se a volte nei sogni vi torno e vi incontro qualcuno che più non è in questo mondo. 20. La ruggine mangia i binari di bestemmiati tragitti ché duro era il pane dei servi, e nei pozzi risuona lamento di antichi ragazzi feriti. Un odore di zolfo mi prende alla gola: a quest’incenso per dannati e poveri debbo il mio pane, la facilità di guardare le nuvole, erede di occhi che poco di cielo ne videro. 21. Ritorna il pensiero ai compagni perduti per strada. Tra i più vecchi di loro, un ragazzo nato in quel di Girgenti dai pallidi occhi che femmine mai non conobbero. Morì per grisù in un settembre di nozze e di piogge leggére che somigliava a un aprile, appena un poco più triste. 22. E anemoni pure ricordo, ragazza che più non esisti con la tua storia di fiumi, di fiori, di amori segreti. Ferita di primavera che torni a dolere di maggio se arranca un’azzurra corriera verso paesi di nuvola. 23. Nuvole del giusto e del vero, qualcuno ha cercato il suo fiume e la rete mancante di là della storia. Forse un grande silenzio, un tacere in riva del quale fioriva una ritrosa parola intrisa di zolfo e di sale, che tutto comprende: le nuvole, i libri, le onde del mare, la nostra vita di polvere la gloria e la morte del sole.
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