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ATTILIO LOLINI: SFOGLIANDO IL PASSATO PER COMPRENDERLO

 

SFOGLIANDO IL PASSATO PER COMPRENDERLO

Sfogliando i numeri di Antigruppo Palermo e poi di Intergruppo si ha, oggi, l’impressione di una grande distanza; il mondo “descritto” in quei fascicoli è lontano anni luce e, noi stessi, rileggendoci, stentiamo a ravvisarci, anzi non ci riconosciamo per nulla. Poco più, poco meno di venti anni e la scena è radicalmente mutata, abitiamo un pianeta completamente diverso. Gli scrittori che erano (ingiustamente) bersaglio dei nostri corsivi: Sciascia, Volponi, Morante, Fortini, Parise ecc., più che scomparsi, sono dimenticati o, al massimo, oggetto di tesi di laurea da parte di qualche studente universitario con interessi necrofili. La lontananza, vogliamo ripeterlo, dai primi anni ottanta appare insomma fantascientifica. Antigruppo, intanto, faceva parte di una costellazione di riviste, fogli, collettivi, oggi del tutto estinti e dimenticati ma che a quei tempi erano dotati di una vitalità straordinaria tanto da riguardare, in qualche modo, gran parte del bel paese. Un’editoria di base, capillare e diffusa, interessava molte città italiane, da Cuneo a Palermo; nascevano riviste, collane di poesia mentre esplodeva la “moda” del ciclostile: una massa imponente di palinsesti poetici distribuiti, per lo più, per posta e “recitati” nelle così dette letture pubbliche che ogni assessorato alla cultura che si rispetti promuoveva.
Tra le innumerevoli riviste e rivistine di quegli anni Intergruppo si distingueva per la cura della grafica e la stampa impeccabile (quasi del tutto assente in altre imprese del genere legate alla pratica del ciclostile) ispirate, in qualche modo, ai modelli dell’avanguardia ortodossa del Gruppo ‘63 (Tam Tam, di Adriano Spatola, tanto per citare una rilevante testata) o alla neoavanguardia politica, se così si può dire, delle riviste promosse da gruppi vicini alle esperienze di Quindici e de I quaderni piacentini. Nel primo numero di Intergruppo, del 1974, Pietro Terminelli, in quello che rimane – più che un editoriale – un manifesto teorico della rivista, afferma, parafrasando Il Manifesto di Marx, che uno spettro si aggira per la penisola, lo spettro dell’Intergruppo, appunto. La scrittura, com’era di moda allora, è volutamente difficile ma si delineano già una pluralità di temi che saranno determinanti nella storia della rivista: la contestazione degli anni settanta ha messo a nudo le vecchie accademie e le nuove; si auspica e si lavora per una cultura sempre più massicciamente demifisticatoria, liberatrice. A tal proposito si fanno i nomi di Benjamin, Marcuse, Adorno e l’inevitabile Mao-Tse-toung.
Le polemiche roventi sono indirizzate contro il neorealismo (che per Terminelli comprendeva anche il buon Pagliarani) e, ovviamente, l’avanguardia del Gruppo ‘63 ossia lo sperimentalismo di Sanguineti e Balestrini mentre Giuliani veniva inserito nei casellari del neocrepuscolaresimo. Posizioni assai vicine a quelle di altre esperienze, specie fiorentine e catanesi, con le quali l’Intergruppo aveva rapporti assai stretti anche se Collettivo R, di Luca Rosi (ma non la raffinata Quasi, di Zagarrio e Favati) e Salvo Imprevisti, di Mariella Bettarini disdegnavano ogni belluria grafica in favore di una stampa spoglia e francescana. I bersagli erano, tra l’altro, i così detti intellettuali, specie quelli di sinistra con i loro fervorini inneggianti alla prudenza, con un piede nei gruppi e l’altro saldamente posato sulla cattedra universitaria. Cosa continuano a fare gli intellettuali in Sicilia?, si chiedeva polemicamente Antigruppo Palermo. Niente, più di niente, ossia continuano a non esistere o a farsi vivi solo quando c’è da “grattare” qualcosa. Risfogliando questa rivista si ha l’impressione di un’autenticità mai truccata, spesso i bersagli appaiano pretestuosi ma in complesso trapela una ricchezza linguistica rilevante frutto, anche, dell’abbattimento d’ogni schema; Antigruppo ospita l’oltranza e non importa se essa entra in collisione con l’idea stessa della rivista letteraria, anche quella estremistica e rivoluzionaria. C’è sprezzo delle buone maniere, di tutte le convenzioni e non è un caso se oggi, da una lettera di Terminelli, leggiamo un passo dove ci incita a dir male di tutti, a non guardare in faccia a nessuno.
Si diceva della distanza da oggi; in anni in cui il computer era un sogno avveniristico, i poeti e scrittori si scambiavano molte lettere, specchio di un paese travagliato da rivolte di ogni tipo ma avviato inesorabilmente verso una totale restaurazione, quella odierna, appunto. La poesia dei giovani (angeli del ciclostile), la poesia operaia, la poesia delle donne; gli scrittori hanno smesso di fare le belle statuine, di essere l’ornamento di una cultura accademica e provinciale; la scrittura diventa politica e scende nelle piazze, si fa slogans e volantino, inneggia alla rivoluzione. Ma questa non è poesia, dicevano i poeti laureati, i giovani poetessi reggicoda al seguito di quelli, ma intanto erano messi in scacco da un clamore che non intendevano e non volevano capire. Verso la fine degli anni ottanta, quando il potere torna tutto nelle mani della vecchia istituzione letteraria, verrà attuata una strategia della dimenticanza; quegli anni non vanno né studiati né capiti ma solo archiviati. Antigruppo è lo specchio di quei tempi e non è un caso (a parte i saggi di Giuseppe Zagarrio e Stefano Lanuzza) che si faccia finta che non sia neppure esistito come tutta l’esperienza, per esempio, della poesia operaia.
Un pur minimo elenco dei redattori e dei collaboratori di Intergruppo rimanda ad un’idea di poesia e di scrittura che, oggi, nell’Italia della restaurazione e del conformismo, potrebbe essere oggetto di studio e seria riflessione per conoscere meglio anni di generose ed intense avventure letterarie. A chi ora sfogli queste riviste può capitare di non intendere quasi nulla delle furiose polemiche degli anni settanta; anche il Gruppo ‘63 appare del tutto archiviato per non dire dello stesso Pasolini “politico”. In un editoriale non firmato dell’ottobre del 1973, si scrive a lungo dell’impegno degli scrittori di Antigruppo, un movimento che è nato, anzi venuto su dai movimenti di base delle masse lavoratrici e degli studenti, tende sempre di più a coinvolgere le masse nella vita artistica e letteraria dell’Isola. Si elencano, dopo aver riconosciuto il “ciclostile” come prima alternativa alla stampa ufficiale, una serie di iniziative contro l’industria editoriale al potere: recitals di poesie e dibattiti, pubblicazioni di base e cooperativistiche in uno scontro “linguistico e dialettico” con le strutture mortificanti e mistificatrici della Sicilia e dell’intera Italia. Contro il pessimismo ufficiale dei critici borghesi si afferma che la letteratura non è morta, tanto meno la poesia: questa va cercata nella clandestinità. La nuova poesia è rivoluzionaria perché non serve la causa borghese e non è più pensabile che questa possa essere un prodotto privilegiato di una èlite di intellettuali legati alla cultura al potere. È notevole, in questo argomentato scritto, la “fotografia” della cultura siciliana dell’epoca del resto non dissimile, d’altra parte, da quella di oggi.
Oltre i libelli, le invettive in versi e i palinsesti “tellurici” diretti contro la così detta borghesia, responsabile d’ogni crimine e malefatta, Antigruppo, pubblicava anche testi creativi, come le favole di Ignazio Apolloni, pagine di Mariella Bettarini, poesie di Andrew Donus, Jack Hirschman, Gianni Toti e perfino un intervento su Fortini di Gianni Riotta allora scatenato movimentista oltre a scritti, di sapiente critica, di Nicola di Maio. Tra questi materiali c’è qualcosa di duraturo, non legato alle polemiche e alle “mode” correnti, insomma i materiali propriamente creativi appaiono quelli più riusciti, sottratti – ma non del tutto – alla furie iconoclaste dei collaboratori e redattori “politici”. Se si considerano testate simili sparse in tutta Italia (ma Antigruppo resta un caso a sé) si ha l’impressione che, in quegli anni, la poesia fosse davvero uscita all’aperto ossia dall’Accademia e l’Università (che sono poi la stessa cosa), dalle logiche delle case editrici e fosse diventata davvero uno strumento di comunicazione diretto a tutti. Veniva liquidato l’Ermetismo e l’avanguardismo petrarchesco del Gruppo ‘63 per la sperimentazione di un linguaggio diretto a tutti ed, in modo particolare, alla classe operaia, con risultati spesso contraddittori e ingenui ma va constatato che, allora, i lettori e i fruitori di poesia erano infinitamente superiori a quelli d’oggi; la poesia entrava ovunque anche se, spesso, era “azione” e comizio. Sfogliando i numeri di Antigruppo, che serbiamo rilegati, oggi, più che la distanza, sovviene una specie di rimpianto e di malinconia. Lì sta, in qualche modo, il nostro ritratto di giovani ingenui e, talvolta, sprovveduti, ma anche il catalogo delle rinunce, delle piccole viltà che abbiamo accettato diventando vecchi e sordi all’entusiasmo e alla generosità.

Attilio Lolini

 
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