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CICCIO BAGLIERI - TESTO DI ANDREA GUASTELLA

 

UNA MASCHERA CHE PENSA


Maschere. Visiere che bloccano il volto in un’espressione preordinata: quella della morte. O meglio, quella assunta dal volto “dopo” la morte, quando la furia è ormai un ricordo e preme l’esigenza di offrire del defunto un’immagine serena, che si possa ricordare senza orrore. Da sempre gli uomini hanno cercato di fermare il tempo, di annullare la distanza con i trapassati; l’arte, la magia, la religione, non sono che strumenti di questo tentativo. Ma l’arte è uno strumento consapevole: nel momento in cui fissa un’immagine, offre alla fantasia di chi la osserva quanto basta per crearne mille altre, in una colata lavica che, più che rassicurare, inquieta, manifestando la fragilità dell’uomo e attestando la sua sudditanza a un ordine distruttivo che irrimediabilmente lo sovrasta. Le maschere di Francesco Baglieri, nude nella loro crudezza di referti mortuari, non si distaccano da questo quadro concettuale. Eppure, sebbene schiacciate, annullate da una coltre di materia come reperti archeologici sommersi dalla terra, serbano intatta la loro individualità. Ognuna è diversa dall’altra, ognuna reca i segni di una propria storia, che è anche una storia creativa, perché il loro autore, prima di eleggerle a vittime sacrificali, le ha modellate pazientemente una per una. La personalità, sembra dirci Baglieri, resiste persino agli attacchi più insidiosi: della natura e della stilizzazione. L’uomo stesso sembrerebbe una maschera che pensa. E la maschera, come già i latini avevano compreso, è una persona. 

Andrea Guastella

 

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