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DAL  MARE

 

 

Dal mare delle cose che si dimenticano,

che si allarga da casa nostra fino alla fine dei mondi,

ogni cosa prima o poi viene risucchiata.

Anche noi finiremo naufraghi errabondi

a vagare per i fondali di alghe e sabbia.

 

Mare cannibale, ladro, senzadio,

voltagabbana, mostruosità salata

e priva d’anima, mare tormentatore,

rendimi almeno il corpo gonfio e livido

inconoscibile, del mio primo amore.

 

 

Il  GATTO  SUL  CORNICIONE

 

 

Il gatto danza sul cornicione al nitore dell’alba

interpretando musiche di Bach Vivaldi e Beethoven,

poi trascorre la mattinata a contattare impresari

offrendo provvigioni invitanti di teste di pesce.

 

A mezzogiorno inforca i Ray Ban

e assaporando l’ozio flemmatico dei milionari

si allunga come un gelato, disattivando il radar, e si lascia leccare

da quella brezza lasciva che viene dal mare.

 

Verso il tramonto il gatto diventa verboso,

coltiva interessi artistici e di varia cultura

impartendo lezioni alle sue pulci

sulle accordanze cromatiche e sulle tecniche di pittura.

 

Poi, nell’attesa di essere tutto inchiostrato,

tende i muscoli drizza la coda e produce il massimo sforzo

per assemblare sapiente sospiri e desideri d’amore

con visioni liturgiche di scodelle di latte e palle di lana,

snocciolando a ogni pausa filastrocche scaramantiche e poesie

di De Moraes e Ralael Alberti.

 

In piena notte si ridesta dal suo non dormire

E accantona cinicamente romanticismi e malinconie,

allora, in pantofole e vestaglia di seta col monogramma,

percorre il paese dei tetti

alla ricerca di qualche ragazza di buona indole da sgualcire.

 

Se va in bianco circuisce mellifluo la luna puttana

per ottenerne i buoni uffici,

poi si rassegna, si accheta, cala di voglie e di attenzione

e si fa statua, di porcellana,

mentre un uccello notturno, con la dovuta circospezione,

gli lustra le ballerine.

 

 

 

 

I  PASSERI

 

 

Io faccio conto che non crediate ai vostri occhi

quando vi tocca, in autunno, di inciampare

in passeri freddi stecchiti, privi di canto e di palpitare,

buttati lì a fare ciarpame

con rifiuti di natura urbana, castagne abortite

e foglie gualcite, itteriche, magre, cadute per fame

o per terrore dagli alberi.

 

Vi è da rendersi conto dell’inganno,

occorre capire, individuare la contraffazione

tesa a rubarci solidarietà e compassione

e a prendersi gioco dei laceri gatti neri portamalanno

che vedono cibo in ciò che è solo malinconia,

e annusano, tastano, smuovono speranzosi

per poi alla fine, delusi, tirare via.

 

E’ la mafia dei passeri, in certi ambienti si mormora,

che mette in piedi la truffa e dissemina finti cadaveri

mentre falsifica i passaporti e contrabbanda oltremare,

in Sudamerica,

tutto quello che è fragile eppure riesce a volare,

come i passeri, appunto, o gli aquiloni, o gli atti di fede,

o le anime dei morti giovani.

 

 

 

 

POESIA  DEGLI  INSPERATI  RITORNI

 

Febbraio ha giorni che sono aguzzi coltelli

e dispone di vento forte e acrimonioso

e all’occorrenza di pioggia, o di neve,

per vendicare la sua vita breve.

 

Ma è di febbraio che i pescatori di marmo lungo le rive

fanno la gobba nei loro giubbotti di panno scuro

e buttano l’amo ancora più alacremente

per tirar su dall’acqua intirizzita

vecchie cose di cui nessuno ha saputo più niente.

 

Così vengono a galla, intrise di sale e di odori,

una sbiadita foto di classe delle superiori,

qualche gazzarra soddisfacente, una certa gita

in Val Rosandra, o qualche Anna, magari una Rita.

 

Così riemergono il primo impiego precario, il primo figlio,

quello sposato che lavora a Milano,

e gli anni trascorsi a portare sacchi sopra le spalle

senza guardare troppo lontano.

 

E poi alle volte truccati da sarda o da pesce strega

fanno ritorno sopiti languori o un fuggitivo pensiero

o il ricordo di un passato dolore che pareva cocente.

Tanto riaffiora dal mare nero,

Tra tutto ciò di cui si sapeva più niente.

 

Febbraio ha giorni che si chiamano invidia o malinconia

e prende di mira i vecchi che fanno spallucce,

e li fiuta, e li stana

lungo le rive o nei caffè con biliardo, o all’ osteria,

in ogni posto dove consumano i propri, di giorni,

a contare i morti e i dispersi di una memoria puttana,

traendo linfa dagli insperati ritorni.

 

 

 
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