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TERESA MARINIELLO: VISTA SUL LAGO

 

Vista sul lago.


Perché avesse lasciato quella riva in fondo piacevole con la lunga distesa di canne poco più in là, e il boschetto che Umberto aveva scelto per schiacciare il suo pisolino dopo aver fatto colazione, lo capì solo quando si trovò dalla parte opposta e con la barca ben ormeggiata.
E’ che le era venuta a noia il nome di lui. Come si fa ad andare in giro con un nome così monarchico! per forza per un minimo di coerenza aveva dovuto uniformarvisi e fare l’aristocratico: evitando dunque i bagni di folla e di conseguenza tutte le più importanti mostre cittadine, selezionando gli amici in base al loro livello culturale, visitando gli scavi archeologici alle tre del pomeriggio dove anche le pietre trasudano, e non solo storia. Per fortuna non erano arrivati figli, così da non trovarsi nell’imbarazzo di imporre loro forse un destino attraverso  un nome.
A pensarci bene anche altro di lui le era venuto a noia: per esempio quella mania di pescare all’alba, con un risultato sempre negativo per sé stessa, sia che non pescasse nulla e allora bisognava sopportare per il resto della lunga giornata il suo malumore, sia che pescasse e allora bisognava sopportare il racconto particolareggiato e entusiasta fatto agli amici, con relativa cena e nuova ricetta perché dopo dieci anni, diciamocelo, non se ne può più di mangiare pesce di lago!
Mise da parte questi pensieri che potevano spingersi fino a fantasie delittuose…, una spinta e via!
Peccato che Umberto fosse un buon nuotatore e lei una pessima rematrice.
Sospirando cominciò a pensare agli amici che avrebbero invitato la sera dopo, e anche al regalo di compleanno per lui che ancora doveva acquistare; poteva scegliere quell’inutile libro sulla struttura di tutti i tipi di imbarcazioni.
Spesso Umberto lo aveva ammirato dalla vetrina vietandoselo per il prezzo eccessivo e in fondo sapendo che non lo avrebbe mai letto.
Ecco era proprio il regalo giusto, lui sarebbe uscito dall’impasse, lei avrebbe evitato noiosi giri per negozi..
Contenta di sé stessa finalmente prese in mano il libro che si era portato dietro, ed ecco che sull’angolo della pagina di sinistra ammiccò un’ombra, si allungò sull’intera pagina, si fermò su entrambe.
Doveroso alzare gli occhi con ciglia aggrottate.
 “Mi spiace disturbarla, signora, ma in questa parte di riva c’è il divieto di pesca; dovrà seguirmi al comando per la multa che sono costretto a farle.”
 “Ma se sto leggendo!”
Coscienziosa la guardia proseguì: “D’accordo, ma ha tutto l’occorrente per la pesca.”
Lei lo squadrò da capo a piedi, notò velocemente e senza ombra di malizia il volume consistente sotto la patta e le venne in mente che avrebbe potuto denunciarlo per violenza carnale: in fondo aveva anche lui tutto l’occorrente!
E mentre si preparava a divertirsi in questo modo, le venne in mente il film “Passaggio in India”, dove era descritto così bene il labile confine fra ciò che si desidera e ciò che si teme, e si fermò.
Inoltre, la parola carnale, pronunciata in un luogo così deserto, da una donna ancora giovane, la cui maglietta estiva evidenziava abbastanza la rotondità del seno non poteva apparire un invito? quale difesa avrebbe allora messo in atto? e cominciò a immaginare particolari, alcuni dei quali piacevoli, altri imbarazzanti, velocissimi in sequenza, l’ultimo dei quali quasi la spaventò: non si depilava da una settimana! Infine ricordò Borges, e quelle parole che l’avevano così colpita tanto da annotarle in un taccuino, e che recitavano più o meno così: “la realtà non suole coincidere con le previsioni, inventava dunque, perché non succedessero, particolari atroci; naturalmente, finì per temere che questi fossero profetici.”
E se davvero fosse così? Era pronta per un’esperienza del genere? Il sesso con Umberto si era fatto noioso, come la pesca sul lago; in fondo simile più a una necessità che a un piacere era nello stesso tempo rassicurante, una specie di passeggiata di cui si conoscono i momenti di sosta con vista sul panorama e i momenti in cui il passo va più spedito.
Rimase un attimo sospesa e indispettita con se stessa, infine provocatoria si diede a pescare.
“Se devo pagare una multa che ci sia la ragione.”
Ed ecco che lui del tutto inaspettatamente si spogliò del ridicolo rigore e cominciò tra il dolce e l’alterato: “No, non così. Non è questo il modo di tenere la canna.” Che diamine! Un uomo si sente rivoltare a vedere una donna prendere una canna come se fosse un mestolo! C’erano secoli, anzi millenni di tradizione da far rispettare, e questa tipetta dall’aria indisponente pensava di poterli cancellare così! E con pazienza e supponenza, prese a insegnarle i primi rudimenti, dapprima accettati da lei con stupore e gratitudine, visto che aveva dimenticato la multa e la violenza, poi sempre più con noia e fastidio, tanto da rimpiangere almeno la multa.
Continuò da solo voltandole la schiena, tanto che lei riuscì a osservargli le natiche. Maschili, strette,alte. Sode attraverso la stoffa leggera. In definitiva un bel culo.
Socchiuse gli occhi. Il lago divenne una linea nella sonnolenza dei suoi occhi, sopra avanzavano in processione le parole di lui, scandite in sillabe…no me ca ri no il tuo… mi ri cor da…do ve sei…Chiuse gli occhi del tutto, il cicalare divenne un crepitio di fuoco, guardò la carta leggera che avvolgeva l’arancio sfarsi in una piccola fiamma guizzante, seguì il gesto di sua nonna che le porgeva ora il frutto spaccato a metà con le mani. Nodose e elastiche, portavano dentro la sua sapienza contadina. Le erbe che raccoglieva per i decotti, mal di gola, mal di schiena, mal di luna.
Il coltello affilato per castrare i polli, perché un maschio deve esserci nel pollaio, e il cappone si mangia a pasqua; e quella gallina mi fa poche uova, domani le infilo le dita per vedere cosa ha. Lo sguardo severo sul cane. Fuori da qui, sull’uscio! Sopportava la sua inutilità per amore di lui, e per lo stesso motivo gli arrostiva le quaglie di palude sul fuoco e gliele porgeva con le guance arrossate. Non la capiva la caccia, quell’alzarsi all’alba col corpo febbrile, gli occhi lucenti di desiderio.
L’odore del sangue. Roba da uomini, a ognuno il suo posto.
Era morta molto vecchia, nel suo letto, nel sonno. Sul piccolo terrazzo con i tralci di vite quel mattino aveva visto il ragno, e il filo che tesseva allargando la sua tela. Leggero e brillante, oscillava appena sotto il soffio dell’aria. E poi sotto le zampe della gallina, che come una funambola avanzava.
“Le si arruffano al vento le piume, il collo china per bere, e in terra raspa; ma, nell’andare ha il lento tuo passo di regina, ed incede sull’erba pettoruta e superba.”
Davvero, dolce poeta, Lina aveva questa grazia?
Le venne sete d’acqua zuccherata, ricordò che non aveva terminato l’arancio; chissà se si era conservato sulla credenza per tanto tempo. Le venne nostalgia degli odori, quello rassicurante del pane che in grosse forme lei sfornava per tutta la settimana, e il dolce delle pesche del primo raccolto, l’acre della cenere e soda nelle tinozze di zinco. Vide l’aia attraversata dai bianchi lenzuoli, labirinto magnifico dei suoi giochi da bambina, dove sola si aggirava inseguita dalle voci delle lavandaie. E le venne voglia di tornare, di lasciare le sue stanze, incastrate una nell’altra.
Iniziare  una relazione con questo sconosciuto avrebbe aggiunto una stanza, dove lo spazio si sarebbe ancor più ridotto, per i sotterfugi, le corse inevitabili per tenere nascosti a Umberto gli appuntamenti, i rossori che nuove labbra possono portare.
Colmare una insoddisfazione con un’altra, le venne noia ancor prima di iniziare. Sapeva per esperienza che la clandestinità risulta invivibile  dopo un po’, o per troppo o per troppo poco.
Ricordò il gioco della corda saltata con le amiche, lei dentro attenta a quando uscire, arancia, pera, limone; via veloce, senza pagare pena, alla voce arancia.
Fuori. Ma perché no, anche dal gioco della corda, lasciar andare via il capo. A terra.
Prendere la strada senza farsi troppe domande sul futuro, bastavano quelle già fatte, e che ogni volta avevano rimandato la scelta. Pigrizia, abitudine, affetto a una persona a una città. Voltare le spalle senza dare parole, giustificazioni, così come aveva fatto il personaggio di un film, Paul di Heimat, perché tutto gli sembrava già scritto, fino alla sua ultima goccia di vita, e lui voleva uscire dal recinto e arrivare all’oceano; entrare in un’altra vita ancora da inventare.
Perché io no? Si chiese.
Scese a piedi nudi sull’erba, con lentezza si incamminò; lontana dalla barca; dopo un po’ lontana dal canneto.


Teresa Mariniello

 

 
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