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IGNAZIO APOLLONI: STORIA DI ADAMO

 


                                        

     Adamo era nato prematuro, cioè qualche giorno prima dell’ora stabilita. Ne andava orgoglioso quando un qualche altro pulcino gli si metteva accanto e finiva ovviamente sotto le sue ali risultando egli più grande e più grosso di loro. Si comportava in tali circostante in modo abbastanza insolente, tanto da suscitare non poche antipatie. Non poteva però farci nulla – spiegava – era nato con lui il sentirsi superiore agli altri coetanei, se così si può dire. Con il che (non male il con il che) lo si potrebbe giustificare non fosse però per l’insolenza: a meno di doverla ritenere talmente connaturata in lui da non potersene liberare, il che ovviamente non è.
   Come se non bastasse Adamo si attribuiva poteri quasi sovrannaturali e per dimostrarlo faceva dei salti da un pak all’altro distanti decine di metri senza sbagliare un colpo: così come faceva con la carabina se un avventuroso veniva a installare un luna park nella distesa di neve nella quale era nato e sarebbe voluto rimanere fino alla fine dei suoi giorni. Gli altri pinguini fallivano; non ne azzeccavano una; miravano troppo basso tanto da colpire spesso uno stivale della ragazza che caricava le carabine (manco a dirlo con proiettili di gomma)? e invece lui, l’Adamo, fa sempre centro. C’è da fare una corsetta per andare ad acchiappare al volo un pesciolino tenuto appeso a un amo quale premio al vincitore? e chi arriva per primo se non lui.
    Tutto ciò, ed altro ancora che non mette conto ricordare, finché fu piccolo. Crescendo crescendo la sua vanità aumenta giorno dopo giorno in modo vorticoso. Lo si vede perciò in qualche caso seduto sul bordo del pak eletto a sua dimora e nel quale si è costruito l’igloo, con in mano un sestante come se volesse orientarne la navigazione; o con il cannocchiale per potere avvistare in tempo il sopraggiungere di una nave rompighiaccio. Viene infatti accreditato, l’Adamo, per essere colui che con un fiuto simile a quello dell’orso bianco “sente” l’arrivo di un ciclone o una tempesta, e talvolta anche il puzzo del combustibile bruciato da un peschereccio a caccia di merluzzi. Si narra addirittura essere stato lui stesso a lanciare l’S.O.S. raccolto dalla guardia costiera venuta immediatamente in soccorso dei potenziali naufraghi stante che frattanto il natante era finito contro uno scoglio di ghiaccio detto iceberg.
    Insomma, il nostro è da considerare e va considerato più un prodigio della natura che non un pinguino. Ha infatti ali belle e buone mica le alucce tipiche della sua specie. Si è detto già come non gli manchi il fiuto (tranne quello che serve per concludere affari vantaggiosi); si aggiunga il tatto di una qualità particolare che dispiega quando deve dirimere una latente litigiosità tra due suoi simili; conosce il baciamano (e lo mette in atto se gli si presenta davanti una bella pinguina). Con tutti questi attributi ovviamente può aspirare a impalmare chi voglia ma non è a questo che mira. È conscio – per averlo ascoltato alla radio e non certo letto perché al polo sud la stampa latita – come se continua così la neve tra non molto si scioglie e pertanto la sua specie rischia di finire a mollo. Che fare dunque? Cos’è che può fare lui? si domanda abbastanza angosciosamente.
    Quando ebbi ad incontrarlo – durante uno dei miei frequenti viaggi là dove vive – mi parlò di propositi venutigli in mente e in parte non ancora attuati per sperimentarne l’efficacia. Non aveva avuto infatti successo con il tentare di cucire il buco nell’ozono, servendosi ovviamente di ago e filo, però fra non molto avrebbe ritentato con materiale più spesso appena ricavato dal recupero dello scafo di una baleniera. Ci aveva trovato un bel pezzo di cordame solitamente usato da quei marinai per accompagnare il proiettile destinato alla schiena dell’orca assassina (se si trattava di un’orca) o della balena di turno tutta sbuffi quasi volesse segnalare la sua presenza (povera scema!). Non era tuttavia troppo sicuro che gli orli del buco questa volta non si sfrangiassero finendo col trasformarsi, peggiore del male, il rimedio. Non che fosse prossimo a sentirsi sfiduciato, l’Adamo; direi anzi, di lui, sembrasse avere una tale corazza da potere essere assimilato a una corazzata. È solo che mostrava chiaramente avere in serbo progetti più ambiziosi e voleva parlarmene.
    Lo ascoltai di buon grado (e intanto prendo appunti per scriverne il racconto). Non si stancò né mi stancai io durante le settimane che passammo insieme (ovviamente io più infreddolito di lui malgrado l’eschimo e il passamontagna; gli occhialoni antineve e i guantoni antigelo; il fiato caldo nel cavo delle mani quando mi capita di togliermi i guanti). Mi parlò di venti boreali; aspirapolvere atti a ripulire l’atmosfera di tutta l’anidride carbonica da riversare fuori dal pianeta con l’aiuto appunto dei venti boreali; di ventilazione coatta e soffioni da mettere nei quattro punti cardinali alimentandoli con pale azionate da mulini ad acqua. Quando gli feci notare come di ben altro avesse bisogno la terra e coloro che l’abitavano si stizzì, si rifugiò nel silenzio più assoluto, diventò assorto e quindi dopo qualche tempo proseguì, dettandomi più o meno questa dichiarazione.
“Se proprio ciò che ho esposto non vi basta, benché noi pinguini ne abbiamo fatto una sorta di vessillo; se i rimedi da noi proposti per ridare alla terra la salubrità di un tempo non vi garba, fate come vi pare ma non chiedete il nostro aiuto vuoi in termini di idee o di propositi, né di progetti belli e buoni. Noi qui siamo nati e qui restiamo. Alzeremo cancelli, costruiremo delle dighe, cambieremo i fusi, sposteremo il polo magnetico tanto da rendervi impossibile venire a trovarci. Ci potrete al massimo fotografare dall’alto posto che non vi costringeremo a invertire la rotta. Questo il nostro testamento e le nostre ultime volontà in quanto desideriamo essere lasciati in pace”.
    Non sapeva, il povero Adamo, quanto più nera fosse la situazione e quanto più bisognosa di interventi urgenti. Gli prospettai come solo la scienza abbia ormai le mani in pasta. Gli parlai di alberi e alberelli, piante ed ortaggi in grado di crescere rapidamente, più rapidamente di quanto previsto dalla natura, e perciò adatti ad assorbire a ciclotroni tutta l’anidride carbonica prodotta dai miliardi di generatori di veleni in atto. Avrei voluto accennare anche alla prospettiva di fare ingoiare da appositi Moloch tutti i rifiuti della civiltà dei consumi prodotti da uomini ingordi, insaziabili, di cui parla la scienza, ma lo vidi di lì a poco in preda alla sonnolenza. Fermai allora il registratore; rimisi in borsa carta e penna; mi disposi a passare la notte dentro la tenda – mentre un vento impetuoso infuriava trasformando in ghiaccioli le lacrime che andavo versando per non essere riuscito a raccogliere qualche altro vaticinio dell’Adamo.
    Al mio risveglio ovviamente il pinguino del quale avevo raccolto le confidenze – e forse anche le preoccupazioni – non c’era più. Non so davvero se perché non è mai esistito oppure perché non voleva avere più niente a che fare con uno come me: a suo giudizio responsabile anch’io di ciò che aspetta lui e la sua specie.

Ignazio Apolloni


Pubblicato su Margini, anno II, numero 2, Dicembre2007-Maggio 2008, Navarra Editore, € 10,00, pagg. 48-50.

 
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