CHIACCHIERE DA CAFFE' Libri di poeti Ci giungono sempre nuovi libri di poesie, senza che troviamo tempo per rispondere, come dovremmo, a tutti e a ciascuno. Nuove creature, spesso timide, vengono ad aggiungersi alla grande famiglia dei libri, tra i quali, a giusto titolo, ve ne sono di famosi, importanti, ponderosi, rilegati in pelle, con iscrizioni in oro, e che trattano grandi temi: filosofia, scienze diverse, scienze esoteriche, filosofia buddistica e persino teosofia: libri superbi che forse guardano con commiserazione le fatiche del poeta che - oramai si è capito - non è più il grande artiere dai muscoli d'acciaio di carducciana memoria. Più incline, forse, al fanciullino di Pascoli o a quello più lagrimoso di Corazzini, qualche somiglianza conserva con l'Albatros di Baudelaire: le sue ali gli impediscono di camminare, così egli zoppica. Zoppica mentre il mondo va sempre più fretta: per andare in America impieghiamo assai meno di Cristoforo Colombo, Schumacher, a Montecarlo, ha fatto il giro di pista più veloce, 1' 20" e pochi decimi, e il poeta zoppica ancora. Che fa il poeta cercando di tenere il passo coi tempi che lo "doppiano", lo "surclassano" e lo lasciano nella polvere? Si inventa i laboratori linguistici, viviseziona la parola, la stende sul tavolo anatomico e rovistando nelle interiora della semantica cerca il senso di un nuovo discorso possibile; infierisce sulla sintassi per ritrovarsi tra le mani un giocattolo rotto; partecipa agli eventi che lo ignorano; si impegna e, disilluso, refluisce. Ma Tristan Tzara (quello stesso della "Rivoluzione che si organizza su tutte le fronti pure") ci aveva avvertiti: " Il poeta s'apparta, non diserta." E da luoghi appartati, per l'appunto, lontani dai clamori e dalle dispute dotte, ci giungono pagine che bandizzate nel deserto, benché stampate rimangono inedite. Vorremmo avere l'autorità per confermarle nella loro fede ed augurare, come diceva Calogero Bonavia, che giungano a sfiorare, quand'egli passerà, la veste del Signore. Niente qui traspare del travaglio inutile e disperato di molti "sperimentatori" che non avendo nulla da dire s'inventano nuovi modi di dire nulla. Appartata, fuori dalla mischia, dove il gioco si inaridisce in un contrasto feroce quanto superfluo, e dove i poeti laureati sperimentano che "cuore" non rima più con niente, nasce una poesia che lungo un percorso di familiari consuetudini scopre la necessità della parola e la sua semplicità: l'evangelica semplicità del sì e del no. Non si vuole negare che la nostre vicende si svolgano in una valle risonante di echi e che i veleni del mondo spesso permeano le nostre pagine, perciò grazie a chi ci aiuta ancora a credere nella libertà che, stringi stringi, si riduce a poche scelte essenziali, a qualche sì e a qualche no. E per sentirci poeti - sia ad oriente che ad occidente - non disponiamo che di una sola luna. Carmelo Pirrera
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