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CARMELO PIRRERA: SVIOLINATE

 

CHIACCHIERE DA CAFFE'

                                               Sviolinate

   Dovendo dire o scrivere bene di qualcuno -  pittore, poeta o scrittore - parrebbe d'obbligo parlar male di altri che operano nella stessa disciplina. A tal fine basta scegliere un gruppo di cinque o sei persone al quale addebitare i costi. Le qualità e virtù del Nostro  emergeranno meglio se confrontate alle carenze e ai limiti degli altri.
   Questi "altri" è preferibile siano morti, perché i vivi, a volte, si seccano e reagiscono magari con argomenti che mandano in frantumi l'altare che volevamo costruire per il nostro "protetto" e fanno carta straccia dello spartito della nostra sviolinata.
   Comunque, se volessimo dire di Vincenzo Consolo tutto il bene che gli vogliamo e la nostra ammirazione, potremmo, alla maniera di tale Concetto Ternullo, ripercorrere la carriera dello scrittore da La ferita dell'aprile  evidenziando, intanto, che Consolo "non si fa coinvolgere nel patéma sociologico o economico come Sciascia" (in Le parrocchie di Regalpetra); potremmo aggiungere (a discrezione) che egli "non solo 'evoca' dalla parola come Vittorini, ma vi 'scava' dentro e ne riporta alla luce il suo significato più riposto"; "ci inchioda in un continuum  che si crea e si ricrea. Non è però il continuum di Pizzuto, fuori del tempo, colato nell'indeterminismo più smarrito". Da notare, inoltre, che "la musicalità di Pizzuto non fluisce, è spezzata, è tecnica, esterna... Tutta la prosa di Consolo, invece, tende alla lirica, dalle prime righe de La ferita dell'aprile  alle ultime de L'olivo e l'olivastro  ".
   Circa l'uso del dialetto, non va taciuto che "l'uso del dialetto in Consolo è tipicamente suo, caratteristico non folcloristico, né tanto meno intellettualistico come in Gadda che, volontariamente, costruisce un modo linguistico artificioso e cerebrale."
   E' vero di Gesualdo Bufalino che "sulla carta troviamo un linguaggio forbito, dotto ed elegante, formalmente ineccepibile, ma Consolo è riuscito a comunicarci delle esperienze mettendo l'uno dentro l'altro il linguaggio caratteriale del mondo personale, provocatorio e poetico insieme, con quello 'oggettivo', esterno, più duro e realistico".
   Ma non è finita. Perché tacere che "l'actio  narrativa in Stefano D'Arrigo è ferma, è un grande monolito verbale, senza uscite, si autogenera senza soste e ricade su se stessa... La tavolozza di Consolo, invece, non è statica, è incessantemente modulante, infinitamente cangiante, centrifuga...".
   Insomma, si è capito che ce ne è per tutti. Il vecchio Pirandello si salva per il rotto della cuffia. E meno male, altrimenti avremmo dovuto - mediante nuove tasse e balzelli - rimborsare a Stoccolma l'importo del premio Nobel più gli interessi.
   Scherzi a parte, pur condividendo l'ammirazione per Vincenzo Consolo e i suoi libri (non tutti) non ci pare corretto il metodo seguito. I pregi della scrittura di Consolo, riteniamo, verrebbero fuori anche senza evidenziare (ed esagerare) le altrui carenze. E poi c'è una cosa che per affetto verso Consolo non avremmo voluto dire ed è questa: al di là di ogni apprezzamento critico, mentre Consolo è oggi uno scrittore tra i più stimati che operano in Italia, Leonardo Sciascia è lo scrittore di cui si sente la mancanza. Vogliamo dire che la sua è assenza avvertita nel panorama letterario italiano ma pure ai livelli di una società che alla sua morte si è sentita più sola.
   Né vorremmo dire che nella storia personale delle letture di qualcuno Signorina Rosina  di Antonio Pizzuto, benché letto da pochi, esprime valori che spesso non si riscontrano nelle pagine di autori più celebrati.

 

Carmelo Pirrera

 

 

 
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