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In questo nuovo libro Paolo Ruffilli conduce il lettore in due territori a dir poco inconsueti per la poesia: lo spazio concentrazionario “esterno” della prigione e quello “interno” della tossicodipendenza, in entrambi i casi dietro all’ossessione della perdita della libertà. A Ruffilli poeta interessano tutti gli aspetti della vita e in particolare quelli segnati dalla sofferenza e dal male. E, per misurarsi con il Male, usa i suoi mezzi di sempre: il passo felpato e breve, un partecipe distacco, la contabilità sommessa a antilirica. Soprattutto non si lascia condizionare dall’apparenza dei fatti, perché la realtà è sempre diversa da quello che appare, anche dentro le celle di un carcere e nella tirannica schiavitù della droga. Meno che mai si arrende di fronte all’ipocrisia, alle paure e all’”odio infinito” che la società riversa sui suoi reprobi. Il procurare il male degli altri, e il proprio, dentro l’enigma della vita, va considerato con più dubbi e meno certezze, al di là o dentro la necessità di amministrare la giustizia e di far rispettare la legge. Come il detenuto tenta di opporsi alla totale cancellazione della sua personalità nella reclusione, così il drogato rifiuta di farsi omologare dentro le categorie usuali e, intanto, ecco delinearsi un’ulteriore tangenza tra le due parti del libro: il dilagare della droga dentro il carcere, in cerca di “una via / più rapida / per non vedere”. Paradosso ulteriore della permeabilità di “grate e cancelli”, di tribunali e di codici, a quell’entità inarrestabile che intacca e corrompe tutto. Ma, di fronte all’uomo dalla sguardo spento che non è più vivo eppure ancora non è morto, sordo e muto ormai a tutto il resto, consapevole del suo “inferno”, ecco nascere e consolidarsi un rispetto nei confronti dei comportamenti anche più efferati, delle scelte distruttive e suicide. Un rispetto non da “buon cristiano”, ma di una intelligenza sensibile che sospende il giudizio e si sforza di conoscere fino in fondo per capire. Ruffilli, istintivamente, mette sempre in rapporto ciò a cui dà voce con il contesto sociale in cui si muove e parla. E può darsi che sia l’effetto dell’inclinazione narrativa sulla sua vocazione di poeta. Ma è un fatto che, fuori da qualsivoglia volontarismo, la sua poesia è sempre anche “civile”, di qualsiasi tema tratti (e non c’è tema, per lui, che non sia adatto a far poesia). dalla prefazione di Alfredo Giuliani realizzazione editoriale Silvia Voltolina
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