Giornale di Sicilia, lunedì 3 aprile 2006, pag. 15, rubrica Cultura Libri.
Cinquantadue missive di Ignazio Apolloni in “L’amour ne passe pas” tra ironia e nostalgia VI AMO, DONNE, E VI SCRIVO: CON IL DOVUTO RISPETTO
Lo abbiamo conosciuto almeno trent’anni fa nelle stanze della libreria palermitana “Nuova presenza”, una vera istituzione diretta con abnegazione da un libraio-vigile-pittore per la quale passò tanta parte della meglio gioventù cittadina di allora. A una nostra osservazione su chissà quale libro Ignazio Apolloni rispose polemicamente che forse Pinocchio era la lettura che faceva per noi. Nulla di male. Emile Zolla e Giorgio Manganelli avevano svelato, o stavano per farlo, i labirinti che l’opera di Collodi nasconde. E poi la cosiddetta “provocazione”, allora, era quasi un dovere. Nei casi migliori la si faceva con le parole, ma i ceffoni e il lancio di libri non erano esclusi. In questo, cioè nella vivacità verbale, Apolloni non poteva non essere in prima linea. Era uno dei fondatori di Antigruppo, il movimento che lavorava per lo svecchiamento della letteratura borghese e per una nuova proposta di scrittura letteraria. Siccome il compito di ogni vera avanguardia, alla fine, è di buttare se stessa alle ortiche, Apolloni coerentemente andò oltre l’Antigruppo, verso esperienze i cui nomi sembra appartenere al vasto regno dell’incomprensibile. E invece no, o almeno non nel caso del suo libro più recente, L’amour ne passe pas (Coppola editore), tutto all’insegna di una prosa limpida e di colloquiale eleganza. Sono, dice il sottotitolo, cinquantadue lettere d’amore. Non amore per questa o quella delle destinatarie, quanto per la femminilità e per chi ha lottato per non farla soffocare nemmeno in situazioni tragiche. Le missive sono indirizzate a donne realmente esistite, a personaggi della finzione e persino a figure astronomiche (la Luna, Cassiopea). Nulla di strano, dunque, se Maria Callas è seguita dalla Fornarina o se Anna Magnani è sovrastata da Matoaka Pocahontas. Non ci sono donne-santino né atteggiamenti celebrativi. Il compasso dell’autore rotea fra il rispetto e l’ironia leggera che lampeggia quando meno te lo aspetti. La pagina fluisce con la naturalezza di un’onda, forse perché Apolloni non impone la propria voce, semmai la adatta, di volta in volta, alla storia personale delle destinatarie. Si può scorgere anche un grano di nostalgia senza ferire il pudore di Apolloni? Ma sì, in fondo è lui a scrivere che “senza di esse la vita è poca cosa”.
Giampiero Cinque
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