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Gualtiero Nativi
Nell’immediato dopoguerra la pittura italiana ha conosciuto anni molto belli e difficili. Alle spalle il fascismo prima e la guerra poi; di fronte la libertà e un nuovo strumento da scoprire. Anni eroici, vorrei dire perché eroico e religioso il dibattito etico ed estetico che ha diviso i campi, terremotato gli ambienti, nelle maggiori città italiane; quasi una guerra di religione separando un credo dall’altro, prima che potesse giungere attraverso infinite peripezie allo stato attuale delle cose; a questa odierna alluvione che, sotto la melma apparente sembra tuttavia nascondere e preservare un humus ricco e fecondo. Degli anni che vanno dal ‘47 al ’57 arrivano ai giovani d’oggi memorie confuse ed artatamente distorte tanti sono gli spiriti tardivi che avrebbero voluto fare parte di quegli avvenimenti che li hanno ( e sempre con ritardo ) appena sfiorati. La mitomania del pittore ( o del critico ) che non sopporta lo stato di plagio nel quale è costretto a rimanere e non tollera la sua condizione di succubo, lo porta a retrodatare date, a mistificare fatti e avvenimenti, infine a promuovere intrighi che, in tempi non più eroici, semmai cinici e mercantili, non potranno dare che risultati tanto più utili e tanto più falsi. Nell’immediato dopoguerra, il caso ha voluto che io mi trovassi a dare manforte, al tempo dei loro primi esordi, a quei pittori di Firenze, Berti, Brunetti, Monini e Nativi, che, riunitisi in gruppo nella città di Firenze, si erano già liberati dai vincoli di una tradizione malintesa che in quella città erano stati di grave impedimento al tempo degli Ojetti e dei Carena, dei Soffici e dei Maraini. In questo senso l’impresa di quel gruppo astrattista fiorentino è stata più ardua e più significativa, di analoghe imprese che abbiano attribuito al rinnovo dei centri maggiori di Milano e di Roma perché queste città non offrivano una così ostinata resistenza. Tutt’al più quel che si faceva con entusiasmo e con grande fervore non avrebbe incontrato se non un’ottusa indifferenza. Di quel gruppo fiorentino ( ma i gruppi prima o poi sono destinati a disperdersi ) le due personalità che fin dall’inizio mi avevano più colpito erano state quelle di Vinicio Berti e Gualtiero Nativi. Avevano alle spalle Giovanni Michelacci ( e non è poca cosa ) oltre al sostegno critico di gente di valore come la Giusta Nicco Fasola, Ermanno Migliorini e più tardi Alberto Busignani, ma, a parte questi tutto e tutti erano contro di loro. Di Nativi mi aveva colpito la straordinaria purezza che già lo imparentava ai miei amici Atanasio Soldati e Mauro Reggiani, gente rara di cui s’è perso lo stampo, gente capace di vivere come Mila Repa avrebbe vissuto la sua esperienza religiosa. Tale purezza in Gualtiero Nativi si è andata decantando col passare dagli anni ( purezza di stile e purezza etica ) e può darsi che nelle opere più recenti di Nativi il peso dell’esperienza si avverta oltre al senso di una maggiore sapienza, ma sarà bene rivedere raccolte insieme l’opera di Nativi ai suoi esordi, perché fin dai suoi esordi il suo destino di un pittore significativo è già segnato. Roma Marzo 1973 Corrado Cagli (Catalogo Galleria Giorgi Firenze 1973)
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