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IGNAZIO APOLLONI

 

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Una irrefrenabile invenzione linguistica

   “Cara immaginazione, quello che più amo in te è che non perdoni…”, scriveva nel 1924 Andrè Breton, e aggiungeva ancora: “La sola immaginazione mi rende conto di ciò che può essere…”. L’invocazione-affermazione vale oggi per Ignazio Apolloni che, ormai da tempo, con una felicissima vena immaginativa, ha imboccato la via del racconto, prima con i Racconti patafisici e pantagruelici, poi con Dalla parte del mare e con New York  New York allucinogeni e merletti, ora con questo nuovo volume Il golfino celeste a maglie larghe, dedicato a Palermo, la città dove vive e che conosce in tutti i suoi anfratti (bello questo “anfratti”, per dirla con lui!) e per le cui uniche bellezze e sorprendenti cadute nutre un visibile odio-amore. Palermo è per lui come New York, una città del mondo, la focalizzazione di uno spazio, senza alcuna connotazione di similitudine – parola che Ignazio aborre -, una città moderna contrassegnata da tutti i vizi e le virtù che la metropoli contemporanea congloba e che la fanno simile a tutte le altre nel magma uniformante e caotico della globalizzazione senza “distinguo”. Un grande affresco della vita tout court. Se alcuni particolari sono e non possono non essere palermitani, i contorni sono comuni al mondo, a quello occidentale, s’intende, intellettuale e borghese, quello dell’high class che Apolloni predilige e in cui si ritrova. Non c’è ristorante, bar, teatro, luogo mondano che la sua scrittura non evochi, facendone molla di impossibili storie: dal Baretto ad Birmingham Café, dalla Cuba a Costa Ponente, da I Girasoli a Lo scalino del cardinale, dalla Brasserie francese al Travel Café e all’Acanto Blu, dal Teatro Biondo al Teatrino delle marionette di Mimmo Cuticchio, ognuna di queste teche diventa spazio propulsore di imprevedibili eventi, di inaspettati e fuggevoli incontri, di effimeri colloqui, che rivelano tutta la fragilità e spesso l’inconsistenza di rapporti, la mancanza di solidità di tanta vita contemporanea. In mancanza dei bei caffè storici e letterari di un tempo, eleganti e accoglienti, invitanti al colloquio e allo scambio di idee, tutti cancellati dall’ansia del nuovo che fibrilla in questa città senza memoria, fanno bella mostra di se nelle storie di Apolloni i recenti luoghi alla moda, quelli che non possono non citarsi senza apparire piccolo borghesi, i caffè storici del futuro. Non c’è uomo di cultura noto che non venga citato, da Marcello Bonfante a Nicolò D’Alessandro, da Roberto Alaimo a Roberto Andò, da Michele Perriera a Pietro Cartiglio; non c’è evento cultural-mondano o moda della città che gli sfugga: “che città questa Palermo”. Ma a volte emerge anche il ricordo del passato, i Travaglini, il Teatro dei 172, o la citazione di fatti contemporanei, come le regie di Necrosius o il dibattito intorno a quel piccolo Louvre, che dovrebbe essere per Palermo il sorgendo Guggenheim di Palazzo Sant’Elia, e allora l’affresco è compiuto, il puzzle completo, e la città acquista spessore e qualità per chi li sa cogliere.
   Al di là di queste personalità da tutti conosciute, gli altri suoi personaggi scaturiscono quasi meccanicamente dal suo immaginario, a volte anonimi, fantastiche incarnazioni di idee o solo strumenti d’azione, a volte invece uomini veri, puntualmente caratterizzati, sottilmente descritti, distinti l’uno dall’altro, come avviene nel racconto che dà il titolo alla raccolta o ne Il Baretto, altra storia che si fa leggere tutta d’un fiato, e qui è l’Apolloni che a me piace, quello che egli stesso dovrebbe preferire e potenziare.
   In molte di queste narrazioni spesso trapela un sottile gusto del mistero, della spy story, di complicati e umoristici intrighi, che più che a 007 o a Sherlock Holmes, fanno pensare al Peter Sellers della Pantera rosa, con uno stravolgimento nel ridicolo del tragico e del malaffare organizzato che la città nasconde. Il capitolo di Gialli e congiure, e non solo questo, è mosso da fughe di guardie e ladri, da fantascientifiche missioni artiche, che sconvolgono i normali parametri dell’apparente quiete di fondo, per aprirsi al sogno di impossibili avventure e di altre vite.
   Manca, naturalmente, la rappresentazione della miseria, della povertà e del degrado tutto meridionale della capitale dell’isola, ma Apolloni non ama la letteratura realistica, il meridionalismo un tempo di moda, che attacca ne Il convegno, un racconto in cui la parodia del mondo accademico universitario non tralascia nessuno. In tale rifiuto sta anche il positivo messaggio della scrittura di Apolloni: “guai ai vinti”, i meridionali devono imparare a stare dalla parte dei vincitori. “Il bello è sempre ciò che deve venire”: speranza o svagata illusione? Con il realismo Apolloni ha in antipatia tutto ciò che sa di passato e il suo sguardo si appunta sugli aspetti più moderni della società, con verve scintillante e piacere della creazione, che si squaderna in una lingua elegante e sicura, esperta di tutte le possibilità della retorica e da cui ( con uno scetticismo di fondo) fa scaturire il suo deluso giudizio su uomini e cose.
   Sostenuta da una stringata e sorvegliata razionalità ideativi, la sua abilità scrittoria desacralizza tutto e demistifica con l’apparente insensatezza, con il divertissement, il male del mondo, giocando con gli accostamenti, lessicali o semantici, più inediti e immaginifici, alimentati da una sorta di automatismo surrealista che gode delle liasons del pensiero. Un sensuale piacere della parola, il gusto iperbolico di allacciare con fili sottili – a volte nati solo dal suono – immagini disparate, di genesi eterogenea; i frequenti esotismi – Apolloni conosce diverse lingue – creano scoppiettanti, godibili palleggi di idee che costringono il lettore a rapide decifrazioni e a un’attenzione desta e pronta. La scrittura è percorsa da una certa suspence della parola, del gusto dell’avventura linguistica che viene potenziata spesso dal mixage cronologico, da improvvisi sconfinamenti del tempo e dello spazio, che mescolano con sorniona semplicità passato, presente e futuro già vissuto. Emblematico al riguardo il racconto Il palazzo delle sette bellezze, dove tutta la gamma delle trovate di Apolloni si esplica appieno con irresistibili cascate di trovate.
   Uno scrittore surrealista Apolloni, anche per questi scambi di realtà distanti tra loro, che come sosteneva Pierre Reverdy, dalla distanza acquistano forza e potenza emotiva. Egli dialoga con il lettore, è una voce narrante sempre presente, che sorride di se stessa autoapprovando la scelta di certi vocaboli colti o di frasi con cui meravigliare il lettore, intrigarlo e coinvolgerlo nei suoi “esercizi di stile” nei quali da buon scrittore post-moderno o, meglio, post-contemporaneo, usa la citazione, quella  della seconda generazione, della cultura globalizzata e di massa.. Le sue doti affabulatorie, prediligono gli itinerari a spirale che, tassello dopo tassello, icona dopo icona, fanno esplodere fantasmagorici giochi di artificio di parole e immagini, molle inventive affascinanti, che mettono in gioco logica, sapere, fantasia con un brillio di memoria che, attraverso un dettato logico, illumina segmenti di conoscenza sepolti nell’oscurità sonnolenta della coscienza, generandone il flusso. Nato con e nella neo-avanguardia, Apolloni  non ne ha mai prediletto i giochi tipografici, optando per altre strade figurali, quelle degli sketch fatti di immagini e di pensieri alla maniera dei fumetti, quelle sue singlossie, che in fondo non altro erano se non brevi, anzi brevissimi racconti, frammenti di narrazione, che si sono lentamente ampliati fino a codificarsi e trascorrere in una struttura più complessa e connotata da tutte le norme del testo narrativo, come ha dimostrato soprattutto nel romanzo Gilberte. Dal minimalismo alla diegesi ampiamente strutturata Apolloni ha gli strumenti per percorrerne tutti i sentieri.
   E oggi nella storia lunga e complessa del racconto si è ormai inserito con sue particolari inconfondibili modalità, che solo a volte peccano di una qualche mancanza di freno nell’iperbole e nel piacere del ludus. In questa silloge più duraturi, fra i trenta, mi sembrano proprio i racconti della seconda parte, quelli del mare in cui penetra la componente storica ed in cui più complesso e attento è il gioco contenutistico contro un più esplicito pastiche linguistico della prima parte, quella più palermitana, per intenderci.
   Apolloni è uomo di cultura, di grandi letture, di ampie conoscenze del mondo, americano ed ebraico, in particolare, ha quindi dove poter  attingere per innovare ulteriormente le cifre della propria scrittura e le proprie epifanie immaginative.

                                                                           Anna Maria Ruta

 
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