LA DONNA NEL MURO
Sembra sciocco domandare perché la murarono. Hanno le loro ragioni. Era una donna e allattava una bambina. La murarono e stava per morire. Ma persino quando ipotizzarono che di lei eran rimaste solo polvere e ombra all’alba, all’imbrunire, negli intervalli il seno sollecitato, ostinato come il timore che dominava la vita del villaggio, il suo latte scorreva. E la bambina succhiava al muro, spremeva la dolcezza dalla pietra e crebbe finché le crepe conobbero solo vento e malerba e lei fu svezzata. Secoli fa. FOGLIE DI VITE Persino le foglie di vite striate dal sole hanno foglie d’ombra a loro attaccate. Persino la vite ne fa pendere alcune che sembrano due: una foglia in cima su una foglia d’ombra, l’angolo scivolato, come fatture in duplicato. Se restassi a guardare dall’altro lato con la luce dietro di me, non vedrei ancora come la foglia in cima striata dal sole potrebbe essere quella che non riesce ad aderire al duplicato invece di vedere -restando dove sono- che è l’ombra della foglia che non riesce ad aderire e, non riuscendo, è lei a dare a quella foglia l’apparenza di due che son così, in due, più belle? [Parlami come fanno le ombre] Parlami come fanno le ombre quando la luce filtra dai trafori di un merletto bianco come la neve
stemperando su una superficie i fori del ricamo in ovali addolcendo i prismi in morbidi fiocchi. Parlami come fa l’eco stemperando, addolcendo ciò che prima è stato detto duramente. [E se avessimo mai vissuto al mio paese] E se avessimo mai vissuto al mio paese avresti potuto chiedere se ero mai tornata se erano fresche le stradine nel calore della siesta se gli ambulanti chiamavano se il gelso era rigoglioso nell’incuria. A chi posso domandare dell’ombra del cortile profumata de menta e gelsi. così viva di presenze quando non c’è nessuno se non un sole cocente e i grappoli d’uva, cinti da mura? A chi posso domandare per essere certa che un ritorno mi faccia rimanere, per ricevere i miei doni? [T’amavo così tanto]* T’amavo così tanto che non sopportavo il pensiero dell’acqua fredda su di te che ti gocciolava dal mento, dalle mani
ti scendeva per il gomito mentre sollevavi il volto al suono dei passi. Attraverso l’acqua mi sorridevi. Persino quando mutò la stagione e nessuno usciva dall’ombra camminando per farsi bruciare dal sole facevi scorrere l’acqua fredda- com’erano fredde le tue mani. In nessun luogo, mentre muta la stagione ed io m’allontano dall’ombra o dall’odore dell’ombra in una strada senza sole, entrando e uscendo dall’ombra degli alberi senza trovare alcuna differenza, mai più qualcuno chinando una testa d’argento verso un rubinetto, susciterà in me quel tipo d’amore che registra sulla temperatura della pelle ogni ombra di differenza. *Dedicata alla figura della nonna in Iran NOTIZIA
Mimi Khalvati è nata a Teheran nel 1944. Mandata a studiare in Inghilterra all’età di sei anni, ha rivisto la sua terra natia solo undici anni dopo. La sua attività letteraria è inizialmente legata al mondo del teatro, poiché ha frequentato il Drama Centre di Londra e ha lavorato come attrice e come regista al Theatre Workshop di Teheran, scrivendo nuovi testi e traducendone altri dall’inglese al farsi. In Inghilterra ha, inoltre, co-fondato la compagnia ‘Theatre in Exile’. Ha fondato a Londra la Poetry School, di cui è attualmente coordinatrice e in cui insegna scrittura creativa. La sua produzione poetica comprende ad oggi le raccolte Persian Miniatures (1990), In White Ink (1991 ), Mirrorwork (1995 ), Entries on Light ( 1997), Selected Poems (2000 ), the Chine ( 2002 ). Ha ricevuto l’Arts Council of England Writer’s Award nel 1995 e nel 2000 è stata Poet-in Residence presso la Royal Mail.
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