Le avanguardie artistiche del primo novecento IL MOVIMENTO CUBISTA La mostra che la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma ha organizzato nei mesi scorsi : ( sei dicembre 1973-13 gennaio 1974 ), ha consentito a un vasto pubblico di prendere contatto con il Cubismo. La mostra, sufficientemente articolata, offre la possibilità di seguire criticamente l’iter dell’avanguardia cubista. In tempi in cui l’informazione culturale diviene sempre più banalizzata o mistificatoria, una mostra storica come questa rappresenta un utile richiamo alla realtà e alla funzione della ricerca artistica.. Il largo afflusso di pubblico, soprattutto di giovani, fa d’altra parte sperare che la storia del cubismo possa esser vista un pò più obiettivamente di quello che ci ha mostrato recentemente la televisione, in una trasmissione che voleva essere “culturale” e che ha invece ottenuto solo lo scopo di darci la misura (immensa) del dilettantismo che informa i programmi a cura degli “esperti” della RAI-TV. Il Cubismo nacque, come è noto, da un’intuizione di Cézanne ( “Trattare la natura con il cilindro, la sfera, il cono”). Secondo Emile Bernard, l’ottica di Cézanne era “nel cervello molto più che nell’occhio”. Con Cèzanne la pittura diviene una ricerca mentale, di struttura, si va cioè oltre il livello fenomenico, ottico, dell’impressionismo. In Monet era sovrano l’occhio (“Quel oeil, mon Dieu!”), con Cézanne si fa strada il primato della mente, la ricerca artistica diviene un’avventura intellettuale. Questo non deve però indurci a pensare che il Cubismo sia solo ed esclusivamente cerebralità, né che Cézanne , che non “inventò” il Cubismo ma ne pose le premesse, fosse un pittore eslusivamente mentale. Come ogni movimento moderno dell’arte, anche il Cubismo ( e il suo anticipatore Cézanne) ha stabilito una nuova possibilità d’indagine della realtà, lasciando agli artisti la libertà di realizzare in questo nuovo ambito una ricerca di valore. Come ogni movimento moderno dell’arte, non ha autorizzato infine alcun artista a ritenersi “grande”, per il semplice fatto di operare nell’area del Cubismo.
Nel 1907 si ebbe al Salon d’Automne la retrospettiva dell’opera di Cézanne. In quello stesso tempo gli artisti di Parigi cominciavano a interessarsi di scultura negra e soprattutto intuivano le possibilità latenti nelle “maschere”. Apollinaire racconta che il primo a scoprire maschere negre fu Vlamink (sembra che le acquistasse da un rigattiere del Lungosenna). Picasso scoprì i valori dell’arte negra nello studio di Matisse e ne fu fortemente influenzato. Les demoiselles d’Avignon e il famoso Autoritratto (esposto alla mostra di Roma) sono del 1907. E’ difficile stabilire fino a che punto l’influenza della mostra retrospettiva di Cézanne sia stata determinante a se la rivelazione della “maschera negra” fosse allora il motivo conduttore reale della ricerca artistica di Picasso. Probabilmente le due componenti, quelle “cezanniana” e quella “esotica” si amalgamarono in una feconda esperienza analitica, il cui primo risultato fu la bidimensionalità, il rovesciamento della prospettiva tradizionale, la contemporanea molteplicità della visione. In quegli anni avviene l’incontro tra Picasso e Braque, che abbandona la sua esperienza fauvista, dipinge un grande Nudo in cui è evidente la concezione cubista dello spazio. Iniziatori del movimento cubista, Picasso e Braque rappresentano due nature, due temperamenti artistici sostanzialmente dissimili: mentre in Picasso predomina la dialettica dello spazio, il contrasto cromatico, in Braque si avverte una più misurata e raffinata analisi della forma, con la tendenza ad attenuare il cromatismo e la preferenza per il colore sfumato, indeterminato, rarefatto. Altri artisti aderiranno al Cubismo: Juan Gris, Albert Gleizes, Jean Metzinger, André Lhote, Robert Delaunay, Marie Laurencin, eccetera. Elemento di coesione e di madiazione culturale è Guillaume Apollinaire, che è teorico, il poeta del movimento cubista e di ogni avanguardia artistica del primo novecento. Il gruppo più importante fu indubbiamente quello del “Bateau-Lavoir”, a Montmartre (Picasso, Juan Gris e altri). Ma sorgono ben presto, quasi spontaneamente altri gruppi cubisti, come quello di Céret (Picasso, Matisse, lo scultore Manolo); a Puteaux altri artisti s’incontrano presso lo studio di Villon (Léger, La Fresnaye, Gleizes, Metzinger, Picabla e Kupka). I “Cubisti – scriveranno Gleizes e Metzinger – non costituivano una scuola, erano la testimonianza di un bisogno comune ad un piccolo numero di artisti, il bisogno di uscire da un vecchio equivoco”.
Siamo abituati a distinguere tre periodi nel Cubismo, quello cézanniano, il cubismo analitico e infine quello sintetico. In realtà il Cubismo ha avuto innumerevoli aspetti, che hanno spesso ricevuto impronta dai gruppi locali che in diversi paesi hanno accolto e diffuso l’esperienza cubista. Il cubismo “ cézanniano” fu dominato dalle personalità artistiche di Picasso e Braque, temperamenti estremamente dissimili ma uniti da una concezione pittorica comune. Si afferma tuttavia poco per volta un’influenza decisiva di Braque su Picasso, almeno in questa prima fase cubista: lo vedi nella tavolozza sobria, in cui prevalgono le terre d’ombra, i grigi polverosi e i verdi spenti, nella tecnica delle sfumature e dei “passaggi”. Il Cubismo analitico rappresenta l’ulteriore passaggio dalla concezione cézanniana alla conseguente analisi delle strutture formali nello spazio: la realtà viene ribaltata sulla superficie nei suoi aspetti polivalenti, ciò che è palese e ciò che è apparentemente nascosto; le angolazioni si moltiplicano, lo spazio diviene aperto, intersecandosi tra forma e forma, si entra in esse per l’altezza e la larghezza, il quadro non ha più spessore. La prospettiva è lineare, nasce dalla mente a dal concetto e non più dalle apparenze fenomeniche, la plasticità scaturisce dalla linea e dalla sezione di forma. Secondo Matzinger “la pretesa di imitare una sfera su un piano verticale o di raffigurare con una retta orizzontale l’apertura circolare di un vaso posto all’altezza degli occhi fu considerata come l’artificio di un illusionista ormai sorpassato”. A questo punto i Cubisti includono nel quadro l’inserto occasionale, l’elemento di richiamo, come una nota più alta delle altre: il collage diviene il naturale incontro bidimensionale tra colore e cosa, reperto. Il foglio di giornale pone il motivo di attualità sottratta alla caducità della notizia, diviene elemento stabile di una struttura pittorica, entro e a un tempo fuori del quotidiano. Juan Gris, intorno al 1911, si stacca dall’esperienza analitica per giungere al Cubismo sintetico. Rovescia l’idea iniziale. “ Di un cilindro – afferma – faccio una bottiglia “. Parte da un’astrazione (il cilindro) per arrivare alla concretezza ( la bottiglia ), mentre il Cubismo analitico operava nel senso di rendere mentale “astratto” l’oggetto reale e concreto. Fernand Léger, sempre nel 1911, esaspera la stilizzazione dai volumi cubiformi, pervenendo alla forma umana inglobata nella realtà del mondo industriale. “Con tutte le mie forze – dichiara – sono andato agli antipodi dell’impressionismo. Ero stato preso da un’ossessione: volevo dislocare i corpi. M’hanno chiamato tubista…”. Una diversa strada seguirà Robert Delaunay che dopo aver fatto propria l’esperienza cubista se ne allontana per giungere a ciò che da Apollinaire fu definito “orfismo”. Una pittura basata sulla simultaneità dei contrasti, sulle forme circolari, concentriche, fortemente dotate di ambiguità cromatica. Anche Marcel Duchamp, che aveva aderito alla poetica cubista, se ne allontana con una delle sue opere più famose (Nudo che scende le scale, 1911-12), in cui sono avvertibili il dinamismo programmato, sequenziale del Futurismo; nel 1913 Duchamp opererà il rifiuto dell’arte intesa come tecnica ed espressione e col ready-made anticiperà il Dada. Francis Picabia non fu propriamente un artista cubista, ma dal Cubismo si lasciò sfiorare e influenzare. Potremmo definirlo “orfista ” ( gruppo della “Section d’or”) ma fu soprattutto un eclettico artista d’avanguardia. Al gruppo della “Section d’or” aderirono sin dall’inizio i fratelli Duchamp (Gaston Duchamp, il cui pseudonimo era Jacques Villon, lo scultore Duchamp-Villon e Marcel Duchamp). Si ha nella “Section d’or” un’interpretazione di tipo impressionista del Cubismo. Jacques Villon così si definisce: “Fui cubista impressionista e credo di esserlo rimasto. Forse ora meno cubista ora meno impressionista, più un non so ché che cerco di definire”. Cosa fu realmente il Cubismo? Quale rapporto è possibile istituire tra il Cubismo e gli altri movimenti artistici che allora gli furono contemporanei? Sulla stessa origine del nome non c’è accordo unanime. E’ molto verosimile, però, che l’origine della parola “ Cubismo” sia dovuta, oltre che alla intuizione di Cézanne, al fatto che Louis Vauxcelles, critico del Gil Blas, scrivesse nel modo seguente a proposito di una mostra di Braque, organizzata nel 1908 da Kahnweiler, con presentazione in catalogo di Apollinaire: “Il signor Braque è un giovanotto molto audace. L’esempio sconcertante di Picasso e Derain lo ha incoraggiato, e forse anche lo stile di Cézanne, ed è oltremodo ossessionato dalle reminiscenze dell’arte degli Egizi (il critico voleva evidentemente dire bidimensionale – n.d.r.). Costruisce pupazzi metallici e deformati, terribilmente semplificati. Disprezza la forma, riduce tutto, luoghi, figure e case a schemi geometrici, a cubi. Si è molto parlato del rapporto cubismo-futurismo, rivendicando ora all’uno, ora all’altro determinate priorità. In realtà, Cubismo e Futurismo furono due movimenti solo in parte analogici; in realtà furono piuttosto antagonistici. Ciò che li accomuna è semplicemente l’ostilità nei confronti della tradizione. Ma mentre il Cubismo rappresenta l’antipositivismo, l’insoddisfazione individuale verso i luoghi comuni della forma artistica, il Futurismo cerca di fare di una nuova concezione artistica un luogo comune; si rivolge alle masse, esalta il movimento delle macchine, disprezza i “borghesi”. Il Cubismo è figlio del Decadentismo (dietro Braque c’è Mallarmé), il Futurismo è invece la nuova istanza formale della borghesia imperialista, una borghesia che vuole culturalmente aggiornarsi ed è per questo disponibile al disprezzo verso l’arte tradizionale, i musei, le biblioteche, e invoca in nome di una nuova estetica dinamica, la guerra, “sola igiene del mondo”.
Guido Montana da arte e società gennaio-aprile 1974
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