DA PICASSO AD ORTEGA L’are moderna, con la sua rapida catena di avanguardie e rivoluzioni, e con le conseguenti fasi frenanti dei ritorni ai linguaggi della tradizioni, segue ( o forse l’ha preceduta ) la fatica e la corsa della scienza per allargare il possibile. Aprire più finestre all’uomo su se stesso e sull’universo. Indicargli altre dimensioni. Aggiungere, per l’arte, nuovi colori, persino nuove prospettive, linee, e non in funzione di scoperta tecnica, ma appunto per allargare la scoperta del mondo. Questa giustifica ogni tentativo, ogni ardimento ed ogni caduta, magari nell’ovvio, dell’artista moderno. La ricerca è totale. L’immediata bellezza visiva, quindi, nell’artista attuale, e la stessa commozione in presa diretta non ci interessano interamente, cercando nell’opera un mezzo di scoperta. L’intuizione dell’artista al servizio dell’uomo. Si ritorna, allargata su tutto il possibile, all’azione esercitata dalla grande arte sacra quando riducendo ad immagine dell’uomo la forma di Dio e dell’invisibile (gli angeli) si cercava una spiegazione dell’uomo e del suo rapporto con Dio. Solo che la ricerca, la richiesta di oggi sono più vaste e insieme più concrete. La domanda è più pressante, di ognuno di noi, sulla funzione dell’uomo nel cosmo. L’arte moderna, ed è così spiegata la vocazione dell’astrattismo stesso, tenta ormai consapevolmente una risposta. Come la scienza. Un artista perciò è attuale, partecipa alla costruzione del suo tempo, se rientra in questa ricerca. Le considerazioni sopra scritte mi sono servite per rispondere a me stesso, e darne conto ai lettori presentando José Ortega. Uno si chiede, difatti, se la carica di realismo del pittore spagnolo, che arriva allo spettatore dei suoi quadri con un impatto di intensa potenzialità romantica, un realismo romantico cioè, se questa cronaca in pittura, meraviglioso filona da Goya ad Ortega in terra di Spagna, aiuta l’uomo d’oggi nella sua necessità di ritrovare un senso alla vita. La risposta è di incondizionato sì. I mezzi del realismo sono da Ortega lavorati ed esaltati fino allo scavo di indagine nell’uomo e nella natura. E là dove esperienze informali o di nuove forme bussano al mistero con l’astrazione, sempre relativa, della realtà, Ortega utilizza un assalto alla realtà con i mezzi del reale stesso. Ma questo suo realismo è soltanto realtà magari mitizzata? (Ricordiamo i cieli e le colline e la terra fresca e calda di grano mietuto. Ricordiamo le sue lune che assistono in sintonia il doloroso lavoro dell’uomo. Ricordiamo le sue pagine di rivolta dell’uomo, in cui solo conta il movimento dell’uomo sottolineandone così la solitudine e i limiti di libertà). Il realismo di Ortega non è realtà-apparenza, perché un quadro di Ortega (e contano le fasi di felicità inventiva) è come una lente che serve a penetrare dentro la realtà apparente, rivelare correlazioni non sospettate ma esistenti, legare l’uomo al contesto dell’universo: l’uomo e la spiga di grano, l’uomo e la luna, l’uomo e il silenzio, l’uomo e il potere, l’uomo e il male. Ortega sottolinea questo sondaggio nella realtà qualche volta con soluzioni tecniche che sono altrettante indicazioni di relazioni da rivelare, come mentre dipinge le sue mezzelune con una pietra di fiume incastrata nel colore. La pittura di Ortega diventa così invenzione e invito alla scoperta. Aiuta cioè l’uomo, partecipa del gigantesco sforzo dell’arte moderna di allargare la conoscenza attraverso il linguaggio universale della visione. Ortega – come altri, pochi, con altri mezzi di trasmissione – a questa azione vi partecipa da maestro, ma con tutti i dubbi di un maestro attuale. Dubbi: Ortega li esprime sino a farne le linea genetica, il carattere della sua rappresentazione. Gli uomini di Ortega sono anche graficamente ( quando non sono una bandiera di rivolta come nell” Arrestato “ e quindi astati a simboleggiare la libertà anche con le manette ai polsi), sono punti interrogativi, piegati in avanti, curvi: ad interrogare, a cercare, ed a subire la verità della vita. Se Ortega un giorno sentirà il bisogno di esprimersi con soluzioni grafiche da ideogramma, la sua “linea” di base sarà il punto interrogativo. Ortega e Picasso, anzi dopo Picasso: un filo spagnolo di lagame, il più giovane al maestro, indicato dalla critica e avvertito, in alcuni momenti della grafia, dal pubblico. Ma sono due cose, ed è soltanto il filo delle conseguenze, delle successioni. Nessuno può essere oggi nel modello Picasso. Si tratta di generazioni. Picasso è scoperta “bachiana” del mondo, getto drammatico e gioioso dell’ultima generazione prima dell’era del grande dubbio, la nostra. La generazione di Picasso (e di de Chirico), degli inventori, partecipava ancora all’epoca in cui si inventava con la convinzione, e con la serenità, la potenza della sicurezza. La stessa guerra era ancora al limite della sua apparenza di utilità. Picasso partecipò all’ultima tappa dell’era in cui si credeva, e la sua colomba fu simbolo di dogma. Diversi sono, invece, i mezzi interiori dell’artista postpicassiano (inteso come generazione). Opposto, quasi, Ortega da Picasso quindi. I mezzi di Ortega, educati dal dubbio, dalla ricerca, portano a conclusioni di oggi cioè, ed autonome, perché esprimono una catena di incertezze, mentre Picasso è tutto una sequenza di certezze, rivoluzionario momento di trapasso, ma ancora nell’area di sicurezza di una passata classicità. Con Ortega (e la sua generazione) il dubbio è arrivato al traguardo del dolore, della non-soluzione ( si dice anche contestazione ). Sulla strada di Picasso, e dei suoi grandi compagni di generazione, magari capovolto e negato, c’era ancora Nietzsche. Con Ortega l’uomo è, all’opposto, raccolto nel suo chiuso limite, interrogandosi per una disperata ricerca. E’ un’altra tappa umana. Più chiaramente: un altro tempo e, nel caso nostro, un altro artista.
GIUSEPPE SELVAGGI Le arti figurative si cristallizzano in forme molteplici. E’ necessaria la loro coesistenza dialettica. (il dogmatismo conduce la pittura al vicolo cieco dell’accademismo sia astratto che figurativo). Parliamo di libertà della creazione. Ma questa libertà non è, in conclusione, determinata dalla consapevolezza di una necessità? Dico ciò perché vi sono, nella vita dei popoli, momenti nei quali gli artisti sentono che è necessaria un’arte di contenuto rivoluzionario. Questa è la nostra situazione, oggi. Artisti, poeti, musicisti, pittori, creatori d’arte. Dinanzi a coloro i quali, in questi patrii momenti, predicano il sonno o l’evasione, teniamo alta la nostra luce. Il popolo ha bisogno di forme artistiche che incitino a quell’unione che restituirà alla Spagna la libertà e la democrazia. A tutti i venti della nostra patria dobbiamo agitare la canzone rivoluzionaria. Sulla terra di tutte le strade scrivere il poema contro la dittatura. Sulla calce di tutti i muri il segno dei santi. Contro il tiranno e i suoi crimini. Tutti i braccianti e i contadini poveri dei monti di Toledo, sono i quattro punti cardinali dei miei ricordi d’infanzia. Da quando aprii gli occhi alla vita i nostri villaggi lottano contro un regime imposto con la forza. Alcuni combattevano già per la libertà. Altri si sono mossi dopo. Altri si uniranno più tardi. Ho schierato la mia arte a fianco di questa avanguardia per aiutare il mio popolo nella lotta contro l’oppressore.
Josè Ortega
Traduzione di Anna Borsellino
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