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HOTEL DES ÉTRANGERS, di FRANCO SPENA

 

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Opera di Hilde Margani Escher

 

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Opera di Martin Emschermann

 

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Opera di Nelida Mendoza

 

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Opera di Philippe Berson

 

 

 


Hotel des étrangers è il titolo della mostra inaugurata al Museo dell’ex Convento del Carmine a Sutera (CL). Hotel come metafora, luogo di passaggio, dove tutti in fondo sono stranieri, spazio provvisorio, luogo della sospensione e dell’attesa; ma anche luogo dell’incontrarsi dove si parlano diverse lingue, dove si intrecciano diverse culture, diverse esperienze di vita. Metafora anche della Sicilia, “In Sicilia siamo tutti stranieri” dice infatti la curatrice Giusi Diana in catalogo, “ Isola in mezzo al mare, terra di nessuno, approdo agognato fin dall’antichità per i popoli-naviganti del Mediterraneo”. Il motivo conduttore a cui gli artisti invitati, tutti stranieri, anche loro, è quello assai attuale e doloroso dell’immigrazione. A parlarne durante l’inaugurazione sono stati il sindaco di Sutera Gero Di Francesco, l’onorevole Rita Borsellino e Giusi Diana che ha messo in evidenza il carattere delle installazioni e delle opere degli artisti invitati: Anne – Clemence De Grolée, Martin Emschermann, Juan Esperanza, Anna Guillot, Yvonne Kohler, Hilde Margani Escher, Nelida Mendoza, Philippe Berson.
Anne – Clemence De Grolée ha affrontato il tema della clandestinità con un’opera di impatto, una gigantografia tratta da una foto da rotocalco che ritrae il cadavere di un clandestino abbandonato tra le pietre di una spiaggia che richiama l’immagine di Cristo in un Compianto. L’ingrandimento con l’accentuazione dei pixel e l’attenuazione dei contrasti, la descrizione scarna,  mette in evidenza  maggiormente il senso del dramma, dell’abbandono e del disfacimento di un corpo che porta con sé memorie e speranze distrutte che appartengono ormai al silenzio della morte. Philippe Berson pone il Minotauro quasi a immagine-totem della diversità e del destino, con un grande torso con una cranio di animale al posto della testa che è circondata da un’aureola al neon quasi espressione del  dramma che conduce alla santità. In un’altra installazione  forma un grande cerchio composto da tanti piccoli teschi di animali diversi che fanno corona ad un cerchio al neon che genera ombre inquietanti. L’installazione di Martin Emschermann, intitolata “E’pupo o santo?”  presenta una serie di figurine in terracotta che colgono momenti di vita e di espressione descritti con una compostezza formale  che spiazza, poiché i personaggi sono distanti l’uno dall’altro, quasi squadrati da una mano che li mette in ordine, che malgrado l’eloquenza dei gesti dichiarano la loro implacabile solitudine. Juan Esperanza mette insieme l’elemento antropologico e la concettualità della costruzione formale riempiendo di teste dal taglio espressionista una bagnera-imbuto e una grande scatola con teste che affiorano dolenti dalla sabbia. Entrambi gli elementi poggiano su una geometria di specchi-mare che moltiplicano la rappresentazione e includono al loro interno l’ambiente. Anna Guillot con “100 % veritas?” si interroga con la storia e coi suoi personaggi con un viluppo nel quale sono raccolti i ritratti di personaggi del passato che quasi circonda 27 libri bianchi e neri quasi ad espressione della difficoltà di cogliere la verità alla luce del dubbio che permette di leggere fra le antinomie della storia. Yvonne Kohler con un lavoro nel quale con la leggerezza del ricamo scrive in inglese una preghiera la cui delicatezza si sviluppa bianco su bianco: “Caro Dio sii buono con me. Il mare è così grande e la mia barca è tanto piccola”. Un’accorata supplica di chi con le carrette del mare affronta la morte per rincorrere la vita. Hilde Margani Escher allinea in cerchio una serie di libri bruciati nei quali il nero è segno di oppressione e di morte della libertà della parola. L’opera allude al rogo dei libri di autori ebrei del 10 marzo del 1943 eseguito dai tedeschi. Il nero assume allora i toni del silenzio e della parola sommessa che non riesce ad esprimersi. La paraguaiana Nelida Mendoza assembla due materassi quadrati, uno bianco e uno nero nei quali, all’interno di “un ricamo in buste di plastica nera e bianca come quelle utilizzate dagli Ayoreo per costruire i loro ripari di fortuna all’intero delle città”, sono inseriti due  piccoli schermi che trasmettono un video nel quale si vedono piedi di bambini giocare con un ritmo ossessivo al salto della corda, chiamato “La frazadita”, che dà il titolo alla video installazione.
La mostra rimarrà aperta fino al 25 aprile.


                                                                                      FRANCO SPENA

 

 

 
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