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L'ANELLO, L'EROE, E IL DESTINO NELLA SIMBOLOGIA TOLKENIANA, di ANNALISA BONOMO

 


     Da tempo ormai, pare possibile parlare di significato sociale del mito ed approcciare il folclore “non come qualcosa di staccato dall’economia e dall’ordinamento sociale, ma come un loro prodotto.”  
     Mito, folclore, tradizione e immaginario da sempre costituiscono il sostrato immutabile di un territorio o di un modo letterario antico e nuovo, meticcio e derivato, quello del fantastico appunto, a ragione definito ossimoricamente: “l’indefinibile per definizione”. 
     In realtà “elementi e atteggiamenti del mondo fantastico (…) si ritrovano con grande facilità in opere di impianto mimetico-realistico, romanzesco, patetico-sentimentale, fiabesco, comico-carnevalesco e altro ancora” .
     Inscrivere all’interno di simili contesti l’analisi simbolica del mito tolkeniano propone scenari tra i più svariati, capaci di oltrepassare l’ormai abusata definizione strutturalista del franco-bulgaro Todorov, convinto negli anni settanta, delle possibilità classificatorie del fantastico alla luce di uno stato di “esitazione” nel quale il lettore si troverebbe quando necessitato a scegliere tra l’entità reale del fatto in questione o, al contrario, gli aspetti soprannaturali della medesima questione (decisione che farebbe ricadere ora all’interno del territorio dello strano ora in quello del meraviglioso e che dissolverebbe quindi l’essenza stessa del fantastico inteso come definizione di un simile stato d’incertezza ). 

 

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