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ALDO FORBICE

 

 


QUELLA SIGNORA

Mi hai voluto punire
con la tua assenza.
I tuoi vuoti mi precipitano in un deserto immenso,
alimentano le mie angosce,
le mie disperate avventure nel dolore.
Non bastano i rifugi,
cercati e ritrovati,
non bastano le fughe nella fantasia,
nel dolore degli altri,
negli orrori del mondo.
La tua assenza è crudele,
una spada che ti penetra lentamente
nel cuore, profondamente.
Eppure eri tu che cercavi
Quella signora dal cappello nero
e dagli occhi perversi.
La tua assenza è un macigno
che mi stritola ogni giorno,
come Sisifo,
come una larva che sogna
il tuo ritorno.


QUEL VOLTO SOLARE

Era svanita quella barriera di nebbia,
col lavoro desiderato, con l’amore sognato,
la fantasia e chissà cos’altro.
Era come rimanere intrappolati
in un tunnel senza luce.
Tutto sembrava senza luce,
anche i fuochi erano stati sinistramente spenti,
dominava la cenere, l’odore di cancrena,
di escrementi, di rifiuti bruciati.
Ma era solo un incubo ricorrente.
Il tuo iso luminoso è riapparso d’incanto,
una nuova stagione aveva preso l’avvio,
cancellando le altre, nefaste, grigie, assurde.
Ma quella notte era finita.
E gli incubi sono tornati
con immagini più cruente, più vere.
E del tuo volto solare non vi erano più tracce.


NESSSUNA PIEGA

Mi risveglio da un assoluto torpore
da sogni, incubi neri, nebbiosi.
Ho visto diafane creature e soldataglia
che si pasceva di armi, alcol, droga, sudore e sangue.
Ho cercato di capire, discernere, analizzare
I tanti stracci, montagne di carte,
documenti, ritagli di stampa, appunti lacerati,
intrisi di saliva, macchie di caffè,
di salsa di pomodoro, cicche di sigarette,
sputi e lacrime.
Ma i miei occhi erano rimasti di gelo,
incollati a cifre, dati, testimonianze,
antiche e recenti sofferenze.
Lì ti ho vista, gli occhi spauriti, infossati,
la pelle grinzosa, i lunghi capelli neri sfilacciati.
Che cosa ti spingeva a “scavare”, a ricercare,
meditare su radici di orrori, genocidi, violenze?
Eri lì china su giornali ingialliti, libri malridotti
e scartoffie variopinte.
Cercavi, soffrendo forse, piangendo forse,
col cuore diventato di marmo assente,
quando scoprivi nuove vittime, nuove torture
di aguzzini e carnefici.
Eri sempre lì, assorta, ammutolita, statua di pietra,
sempre più diafana, più emaciata.
Ti ho fissato, ma il tuo volto era talmente bianco
che non conservava più alcuna piega, alcuna smorfia,
nessun sorriso.
Chi eri? Un fantasma riemerso dal corpo
di una delle tante vittime di genocidi, soprusi
e stupri etnici?
Ho capito solo dopo,
ma ormai era troppo tardi.


COME UNA SFINGE SATANICA

Ogni giorno ti sogno, t’immagino,
ti disegno, nella contorta sfera
dei miei pensieri grigi, ambrati neri.
Ogni giorno il dolore si fa più intenso
per il tuo abbandono, fisico, cerebrale, creativo.
Ma i tuoi passi, le tue movenze, i tuoi sguardi,
mi impongono la tua quotidiana presenza.
Anche i tuoi silenzi pesano, arcigni,
segnano il tempo, testimoni di percorsi antichi.
Il mio mondo è sospeso, confuso da tragedie infinite:
da bambini che ogni sera periscono per fame, epidemie,
nel Sahel e altrove, da violenze e orrori.
Ma il tuo sguardo che segna il tempo mi abbacina,
mi stordisce, come una Sfinge satanica
che non dà risposte.


QUALCOSA MI DICE

Qualcosa mi dice che qualcosa sta cambiando,
forse molte cose, forse tutto.
Lo avvertiamo, lo respiriamo come i veleni dell’aria,
lo intuiamo, come presentimenti amari, dolorosi,
che tendiamo a scacciare via, come la peste, l’Aids, il
                                                                         [cancro.
Qualcosa mi dice che qualcosa è entrato dentro di
                                                                         [noi,
ma non riusciamo a capirne la natura,
non sappiamo se si tratta di un virus, di un male oscuro,
di un mostro onnipotente che ci divora ogni giorno.
È proprio l’angoscia di questo mistero
che ci rende ancora più fragili, più vulnerabili
in un tunnel di cinismo, alla ricerca
di una umanità perduta.

 
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