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CARMELO PIRRERA: NUGELLA-PREFAZIONE DI DANTE MAFFIA

 

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Prefazione


   Carmelo Pirrera è poeta affermato, con riconoscimenti critici che vedono schierati i più bei nomi della letteratura italiana, con traduzioni in varie lingue; la sua poesia è accolta con fervore, perché ricca di sostanza umana, resa con un linguaggio delicato e sapiente, essenziale, priva di preziosismi. A leggerla si entra in un mondo in cui perfino l’amarezza, spesso sconfinata e intrisa di un peso enorme, atavico, si adagia su uno spessore lieve, quasi cantabile, su un piano in cui scivolano note musicali. Pirrera adesso pubblica Nugella, cioè frivolezze, futilità, cose da nulla, bazzecole, come detta il dizionario. Ventitrè brevi composizioni e un prologo, complessivamente duecentonovantaquattro versi (quasi quanti sono quelli dei Sepolcri di Foscolo) che, in un incastro ben congegnato, narrano di un’esistenza vissuta in contrasti incolmabili, in abbandoni totali, in risvegli scomodi o incantati.
   Non mi sembrano, dunque, frivolezze o bazzecole, ma piuttosto momenti emblematici di un itinerario umano e poetico che si muove su indicazioni basate sulla sensibilità e sulla ricchezza umana  che ha consapevolezza di non potersi risolvere in una definitiva sentenza, in una, quale che sia, conclusione. Si avverte, e come si avverte, la stanchezza di Pirrera per le millenarie, ormai, “storie di fiumi/ di alberi/ de gente”, ma si avverte anche che egli non intende uscirsene alla chetichella da queste storie, o abbandonarle al loro destino, recidendo il cordone ombelicale. Sono storie che hanno alle spalle una lunga, complessa civiltà, forse tra le più complesse in assoluto; sono storie che pesano e reclamano una loro rigenerazione, un loro rinverdimento. Il poeta vi si trova immerso, invischiato per nascita e educazione, per abitudine e per limite e a un certo punto sente che quel nodo bisogna scioglierlo, non voltandogli la faccia, ma affrontandolo, prendendolo di petto.
   La “terra impareggiabile” ha una sua malia, una sua inconfondibile voce, è sirena dal canto dolce. Ecco, allora, che bisogna farsi legare all’albero della nave con grosse funi e patire la melodia fino in fondo, appropriarsene, renderla parte integrante del proprio essere, farne uno scudo nuovo.
   Si comprende così  l’ironia di Pirrera, e il suo amore e il suo rigetto.

E ci ingannano rondini
indicando le rotte
dove la morte non viene
.

   È solo uno degli esempi che si potrebbero portare del gioco di illusioni messo in atto dal poeta, che nel “libro fatiscente” non vede la frode, ma soltanto la constatazione di una situazione da mutare.
   Pirrera sa che i mutamenti, però, si devono conquistare per slittamenti leggeri, altrimenti si rischia di deformare tutto, di rendere altro il patrimonio a cui si è, comunque, legati.
   Affiorano le colpe, si prende atto dell’ironia:

E ironizzando sulle nostre pene
sulle vicissitudini dei giorni
ci rendemmo signori
di un mondo brulicante di ferite
.

e, soprattutto, si accende la speranza, mai sopita, del resto, di ritrovare se stessi. Dentro e fuori, diceva Nello Saito, sintetizzando la condizione del siciliano, “evangelio di sogni dispersi/ che tornano a volte/ e s’inverano/ per la durata di notti/ più brevi di un breve pensiero” dice Pirrera.
   Poi il poeta riesce a trovare la rotta giusta, la sola che può dargli la possibilità di legittimare se stesso e il proprio mondo ed è

una ritrosa parola
intrisa di zolfo e di sale,
che tutto comprende:
le nuvole, i libri, le onde del mare,
la nostra vita di polvere
la gloria e la morte del sole.

 

   Sarebbe fin troppo facile cercare di individuare ascendenti voluti o casuali della poesia di Pirrera, potremmo citare Quasimodo, Lucio Piccolo, Beniamino Joppolo, o Giuseppe Antonio Borgese delle splendide prose o Ercole Patti e la sua espressività limpida e cristallina, ma finiremmo per adottare un luogo comune e leggere Pirrera attraverso il solco delle tematiche regionali. In realtà la poesia di Pirrera va a prendere alimento, oltre che in se stesso e nella propria energia vitale, nell’ambito della poesia simbolista francese, con un’escussione addirittura nella poesia fiabesca del Nord Europa. In questa maniera egli salda la sua ansia, quel suo essere costantemente spaccato in due, quel sentirsi estraneo alla Sicilia e siciliano fino al midollo.
   È lo scotto che bisogna pagare a una civiltà che ha molti tentacoli e che non permette ai suoi figli di diventare altro di se stessi. In definitiva però quel che sembra, e a volte è, un limite, quasi sempre si risolve in spinte positive e permette il miracolo di versi come quelli di Nugella che riconciliano col mondo e offrono la misura di come la poesia sappia, al momento opportuno, scrollarsi di dosso tutti gli orpelli e affermare la sua natura celestiale e terrestre.

Dante Maffia

 
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