GILDA GUBIOTTI, di Franco Spena |
Gilda Gubiotti ed Elena La Verde
Rappresentare la distanza tra il cielo e la terra è agire in uno spazio senza dimensione. In una zona senza tempo anche, nella quale è difficile tracciare delle coordinate di orientamento per direzionare lo sguardo, per stabilire i termini della visione. Tuttavia appare possibile in questa zona illimitata trovare per altre vie modi di leggersi, modi di interpretazione. Una di queste può essere il sogno. Quella impalpabile forma di conoscenza al limite fra il giorno e la notte, un luogo di tensione dove le cose non hanno forma, dove forse non esistono forme, ma informi nuvole vaganti che galleggiano, si condensano e si sfibrano nell’aria. Un luogo dove è possibile operare dirottamenti e insoliti transiti, elaborare visioni e scardinare i termini della realtà. Dove è possibile persino pensare la realtà slegandola dalle dimensioni e dalle forme, elaborarla come forma di pensiero sospesa in uno spazio psicologico informe, come aria nell’aria, come materia nella materia, come energia e fuoco che brucia, scioglie e coagula. E’ forse lo spazio dell’anima, dove nasce l’informe mondo poetico di Gilda Gubiotti che fa delle sue visioni dall’alto la distanza privilegiata dalla quale mettere a fuoco o disgregare le immagini di una realtà lontana perché forse invisibile, con la quale intrattiene relazioni interne. Di intimo viaggio verso le zone nascoste, quelle che pullulano di mistero, quelle inconoscibili che possono solo essere immaginate e che possono esprimersi con un traslato. Per questo per la Gubiotti la realtà diviene un magma in movimento, una materia indefinita nella quale immergersi o precipitare, nella quale lasciarsi andare in un processo che conduce alla dissipazione come alla composizione della forma. E vuole cogliere questa realtà nel suo farsi, nel suo comporsi, partecipando a questo processo con l’anima e il corpo, nel vero senso della parola. Con l’anima per quanto attiene alla costruzione di un immaginario che va al di là delle definizioni e delle geometrie della forma; col corpo perché in effetti opera una riduzione en plat della superficie pittorica che diviene non solo luogo della rappresentazione, ma soprattutto luogo della proiezione. Luogo della partecipazione attiva dell’artista che col suo corpo interviene nell’elaborazione della materia pittorica con la quale ha contatto diretto senza strumenti intermediari, agendo e stendendo il colore direttamente con le mani facendo diventare la superficie parte di sé che agisce e si riconosce nel gesto che dimensiona il gioco delle profondità e della superficie, il formarsi delle luci e delle ombre, l’accendersi e l’assopirsi delle cromie. Poiché fondamentalmente è in un teatro di atmosfere che sembra immergersi l’artista, fatto di abbagli a volte pensati a volte improvvisi, studiati come fonte di equilibri che si strutturano nelle composizioni. Composizioni che, anche se interpretate attraverso il sogno, parlano della realtà. Una realtà che è terra, materia viva che appare in continua trasformazione, in continuo movimento come il magma del vulcano, soggetto ricorrente che ama, o i percorsi dell’acqua che si fa strada fra azzurri e rossi accesi. Così come dice di lei Vinny Scorsone: “La terra di Gilda Gubiotti è una massa viva che pulsa e si trasforma senza sosta. Il colore (…) si fa epifania di immagini ora reali ora astratte. Il disegno si disperde nella forma e la forma si dissolve nella materia pastosa del colore perché tutto è materia, anche e soprattutto la pittura”. Per questo la pittura della Gubiotti appare sospesa tra astrazione e informe; poiché mentre si lascia andare alla magia del gesto che si immerge nel colore, non dimentica il fascino di un soggetto mobile che si modella sotto le sue dita; un soggetto che crea mentre lo accarezza, che si fa paesaggio, che distrugge anche mentre lo riduce all’essenza, che esalta , ancora, affidandolo alle impressioni calde e ampie delle cromie che lo colgono quasi in continuo movimento. FRANCO SPENA |
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