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IOLANDA,, di ANTONELLA BALLACCHINO |
IOLANDA Sarai già nel non essere. Non sento più l’odore rancido della morte che ti parassitava, scavava, fagocitava. Con occhi troppo grandi per quelle membra residue mi chiedevi “ perché ”, con parole troppo povere non sapevo rispondere. Medicavo la morte che, sadica, sorrideva esibendo i denti attraverso il tunnel genieno. Zaffo inutile, vile, illusorio. Ma sul letto ungueale giaceva innocente il colore lilla di donna, le ciglia lunghe a compensare la lotta alopecica. Le labbra sottili, lucide sulla rima truccata, perché tutto sia finto, perché niente sia inganno. La dignità di sentirsi ancora Lei . Di sentirsi morta e donna. Occhi grandi, esoftalmo, anelante il suicidio “ perché possa saltare giù la mia anima da questo catorcio, da questo giovane rudere di corpo “.
Tra le velate tendine congiuntivali, lo sguardo si spingeva al di là del balcone palpebrale . Cercava il vuoto, trovava il nulla. Sublimazione della carne, piccole ossa , piccole vene su piccole ossa, canalicoli vuoti del loro contenuto vermiglio, solo parete, che si sgretolava tra le dita come ruggine. Occhi enormi e liquidi. “ morirò?”mi chiedevi, “ no, Iolanda, no “, rispondevo tradendoti. Iolanda ha ripiegato le sue ali di donna nella notte del 24 giugno 2009. Ha lasciato la sua bimba di due anni. Lei che ne aveva solo quarantadue.
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