LE VOCI DI BARDIAGA Esangue immobile carezza, sguardo lunare, colmavi il flusso interminabile dei prati e con labbra di fragola selvosa alitava il vento per lumeggianti fessure di fienili su legno e sogni prima che ammutito terrore vorticasse da cava buia disseminazione su all’alba timida dei boschi. E sussurravano allora spiriti placati a intrecciati argenti di nube e di betulla. Ora quando da intrisa boscaglia come da gonfi pallori dissoluta vertigine fumigano cornacchie sono uomini che salgono per soffi di voragine e altri uomini che incuneante spasimo ritrae al nudo stridore dei giacigli. Così cauto baluginante volto districa furie nodose al rauco focolare. Per ombra e sole seppero le sue rughe fradici denti rodere dalla volta adunca obliquo intrico di resti d’ossa e vesti. Quando ancora sciamava la condanna a narici tumide di selva. Prima che il cerchio pallido oscillante inscrivesse l’orrore profanato e sbrecciasse in calve cortecce l’enigma ortogonale di fronti dilavate. Forse così aveva voluto non vigile orecchio di nemico ma fresca libertà lampante di narcisi. Ora più non si impreca se lasciata la traccia febbrile il cane raspa nell’ispido di grasse ortiche né se riporta, inadescate prede, ossa corrose. E forse anche dove brevi leggeri umori nutrirono il compunto bucaneve carne e terrore suggono alla terra i mirtilli, le fragole, i lamponi in lunghi silenziosi geli. Ma perché il nuovo custode delle cime lasciò su aduste pietre imploranti occhiaie a convertire l’alito del vento? Non è tempo di riti tra le brune angeliche e i fumidi fiati degli alberi e dei prati. E bozzoli incrinati coprirono le madri i bimbi con la cieca promessa degli scialli. Trascorreranno ancora per loro lievi spiriti tra le flebili foglie di betulla? e in specchi di torrente, lucciole rapide sciamanti? Perché oltre lame di luce in un ombroso molle e oscuro rochi echi di spelonca mordono vuoto di pareti, sconvolgono sfarfallìi d’erbe, contorcono vertigine di abeti
|