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ADRIANA INTRECCIAFIORI di FRANCO SPENA

 

 

 


LUNATICHE FANTASTICHERIE


Sciogliere i legami che ci tengono uniti alla realtà, non è tanto la pratica di un atteggiamento liberatorio distanziante e straniante, quanto, a volte, un esercizio che fa scendere dentro di sé per mettere in luce o esplorare le vie del sogno, dando sfogo e spazio a un immaginario che, finalmente libero dal quotidiano, consente di andare oltre la realtà. Anzi, di dare alla realtà connotazioni diverse, permettendole di divenire quasi medium di viaggi immaginifici  che le fanno assumere altri volti.
Possiamo dire che da questi presupposti prende avvio la ricerca artistica di Adriana Intrecciafiori che, in questa sua recente produzione, esposta nella Galleria di Palazzo del Carmine di Caltanissetta, sembra mettere da parte per un attimo la via descrittiva per indagare un mondo interiore fatto di favole e di fantasia.
E di leggerezza anche, di tenuità del gesto che sembra prendere le ali librandosi delicatamente quasi a sfiorare la tela ottenendo anche immagini impalpabili, sospese, inafferrabili, quasi collocate in una zona nella quale il tempo non esiste o sembra appartenere a una dimensione lontana.
Diviene significativo allora il riferimento alla luna che è quasi una costante del suo lavoro. E la luna è amica del sogno che, nel lavoro dell’artista, si manifesta come ricerca di serenità, di armonia, di equilibri all’interno dei quali il colore riposa, si sviluppa senza contrasti, per un procedere leggero di toni che sembrano prediligere sapori notturni. “Lunatiche fantasticherie” è infatti il titolo che contraddistingue questo ciclo di opere e la luna, in varie forme, è sempre presente all’interno della composizione, non solo come elemento di equilibrio, ma come soggetto determinante che dà significato e atmosfera al contesto dell’opera.
E in effetti quella dell’artista appare quasi una pratica che conduce a creare delle atmosfere, delle morbide ambientazioni, all’interno delle quali i riferimenti alla realtà divengono quasi simboli, elementi rarefatti che hanno subito un’operazione di astrazione che li pone al limite della conoscibilità. E tuttavia è l’animo dell’artista che si riconosce in questo lontanante esercizio di purezza, creando un mondo nel quale ogni cosa appare come filtrata, colta nella sua essenza, come se la ragione fosse stata per un attimo messa da parte e avesse ceduto il posto a un fluire di sentimenti che, finalmente liberi, possono esprimere la sincerità del loro manifestarsi.
Sentimenti che tuttavia continuano a parlare del mondo e delle cose, vissuti come se fossero osservati da una visione dall’alto che ne attenua le forme e i contorni, ma che permette di non perdere il senso della vicinanza con ciò che vive e compone. Tanto che gli elementi che assembla appaiono ancora fiori, piante, paesaggi, nature morte, oggetti, forme riconoscibili comunque, che assumono, al di là della composizione, valori simbolici, quasi accordi allegorici che, fra realtà e irrealtà, continuano, seppure attraverso il sogno, a parlare della vita e della concretezza delle cose.
Ho parlato di leggerezza poco fa, e non a caso, e mi viene in mente Italo Calvino quando nelle “Lezioni americane”, citando Paul Valery che dice: “Il faut etre léger comme l’oiseau, et non comme la plume”, aggiunge che la leggerezza si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso”. Poiché, come aggiunge, “esiste una leggerezza della pensosità”.
Così Adriana Intrecciafiori sembra orchestrare le sue composizioni non solo operando una “sottrazione di peso”, ma attribuendo alle forme una tensione che, seppure nel volo immaginifico, non permette di perdere il senso della realtà. Una “pensosità”appunto, che le fa sentire vicine, vivibili da ognuno di noi, proiezioni allegoriche di un bisogno di liberazione che, in fondo, ci appartiene.
Per questo le opere appaiono quasi una condensazione di racconti dell’anima, momenti di narrazione formati da oggetti e cose che, mentre come parole compongono un discorso, sembrano abbandonarsi a  un lirismo che è dato dalla rarefazione, dalla essenzializzazione delle immagini e dal colore.
Un colore che è predominante, lo è sempre stato nel lavoro dell’artista, ma che in questo ciclo di opere assume un valore caratterizzante. Quasi un monocolore, che agisce nella composizione con delle dominanze, usato con coerenza senza dissonanze, che dona alle opere misteriose e magiche atmosfere  notturne nelle quali la luna compare non solo come forma, ma come luce che si diffonde con morbide vibrazioni in una scena incantata.
E Adriana Intrecciafiori sembra abbandonarsi all’interno di queste atmosfere lasciandosi andare con le ali della fantasia con una libertà e spontaneità del gesto della pittura che non ha incertezze, attraverso una pennellata ampia, data con una scioltezza circolare, che va anche al di là della forma, che si sviluppa senza ripensamenti, lasciandosi trascinare dalla purezza del colore anche quando interviene con inserti materici di polvere di granito che aggiungono ulteriori vibrazioni al poggiarsi della luce.
Per dare al sogno, forse, un segno forte che si imprime nell’anima e continui a fare parte della vita.

 

FRANCO SPENA