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ALESSANDRO CARRERA

 



ALESSANDRO CARRERA - FOTO SCATTATA DA UGO ENTITA' - ARCHIVIO IPPOCRENE -  proprietà riservata

 

III. L’universo dalla Terza Strada


Non appena il sole sarà spento
tra cinque miliardi di anni
la nostra galassia troverà sulla sua strada
la nebulosa di Andromeda
altrimenti detta M31
a due virgola due milioni di anni luce.

Per adesso
Andromeda è dove è sempre stata:
alcuni gradi sotto, alla destra
dello sbaffo di nome Cassiopea
che pare una M rovesciata
a mezzo cielo
guardando su a nordest
quando è ora di dormire
alla fine dell’estate.

Nelle notizie che si passano le stelle
lo scontro di galassie è già imminente.
Sei, settecento miliardi di bianche
nane e di giganti rosse,
non contando i pianeti,
come un bel tamponamento in autostrada.

Sarà un evento memorabile,
se ci sarà qualcuno a ricordarlo.
Ci dovremmo preoccupare
prima o poi. Ma anche adesso
non c’è cruccio più serio
visto che lo spegnersi del sole
a confronto
non sarà che un incidente di passaggio.

Distesi in questa camera da letto
guardando le stelle
in una calda sera di settembre
vediamo lo Scorpione
uncinare le cime dei palazzi,
il Delfino appoggiarsi su un’onda
che adotta l’intera Via Lattea
come una cresta schiumosa
mentre il Sagittario è un grumo proprio là,
dove la spirale
cade ad arco sui tetti illuminati.

Molto più lontano, M31
(da non dimenticare, M31)
sparge una debole nube.
Le costellazioni ci sono ancora amiche,
per adesso.

Intanto, dall’East River allo Hudson,
l’autocarro dei pompieri ha liberato
le sue erotiche sirene
e gli antifurti accaldati delle auto
a intervalli
fanfarano di gioia.

Dal nido di piccioni che sta sotto la finestra
viene un tubare che è poco
diverso
dal suono contratto
di un pulsar.

I cani immensi
dei nostri piccoli vicini
frugano ancora il giardino,
scoiattoli si lanciano
da un ramo a un altro ramo,
non più pesanti dell’erba,
non più leggeri della brezza.

E’ quasi l’ora che Saturno,
ottocento milioni di miglia,
quasi nulla,
si arrampichi su un cielo
giusto ai piedi di Andromeda
che ha una luce stasera
dell’età
di una punta di selce
trovata in una grotta.

Il passato ci raggiunge con notizie
del futuro, e noi che dal letto
guardiamo la vetrata, veneziane tutte alzate,
siamo il punto di sezione
dove niente è come prima
e nessuno avrà modo di sapersi
in quello che sarà.
Ci dovrebbe venir facile parlarci
con la testa sul cuscino.
Anche questo è uno stemma molto antico,
un’araldica solenne d’onestà.

Però non ci parliamo
e fuori il vento sta coprendo di nubi
una stella collassata
che ha una massa più grande del sole
compressa in un diametro
di meno di dodici miglia
in una raffica di raggi gamma e X
che nessuno strumento li vede
se non i nostri occhi così umani,
e palazzi adesso neri si alzano a sfregiare
il tessuto d’orizzonte come chiodi
su fiancate di auto nuove.

Niente ci spiega perché nell’alone blu ghiaccio
e d’argento sui bordi
di un ponte di luce
che principia a sfrangiarsi lentamente
come un lampo di test nucleari
(pare strano che non scoppi in un accordo di flicorni)
a noi lontanissimi
dall’essere lontani
ci viene così greve di trovare
parole per noi due
che non siano un po’ amare, un po’ insincere.

Eppure abbiamo sangue d’altri amanti nelle vene,
lo sentiamo il lavoro che hanno fatto
perché nel nostro nulla
si insinuasse il ricordo di quell’ira
e del calore
acceso al loro fianco.

Rendendogli omaggio ci alziamo
rimandando altre battute,
altri finali di commedia,
e stiamo a guardare dai vetri
una fine di stella invisibile.

E’ proprio a noi,
solo a noi che si trasmette la sua luce
come una torcia bruciante
nelle mani di uno stravolto
maratoneta.

(Mi hai chiesto se mai inventeranno
una macchina del tempo
e io ti ho detto no
perché il passato non esiste.)

Così, non vuoi essere un segno per me,
non sarò io lo stesso per te,
prima che il firmamento tiri un frego
su se stesso, su di noi,
e ciò che è accaduto una volta soltanto
non sarà revocabile,
così come avverrà
senza eccezione
per ciò che si ripete?


Da "La stella del mattino e della sera" - Prefazione di Carlo Sini  Edizioni il FILO S.r.l. Roma

I edizione ottobre 2006 - stampato da Digital Print Srl, Segrate (Milano)

 

 




. L’universo dalla Terza Strada

 

 

 

Non appena il sole sarà spento

tra cinque miliardi di anni

la nostra galassia troverà sulla sua strada

la nebulosa di Andromeda

altrimenti detta M31

a due virgola due milioni di anni luce.

 

Per adesso

Andromeda è dove è sempre stata:

alcuni gradi sotto, alla destra

dello sbaffo di nome Cassiopea

che pare una M rovesciata

a mezzo cielo

guardando su a nordest

quando è ora di dormire

alla fine dell’estate.

 

Nelle notizie che si passano le stelle

lo scontro di galassie è già imminente.

Sei, settecento miliardi di bianche

nane e di giganti rosse,

non contando i pianeti,

come un bel tamponamento in autostrada.

 

Sarà un evento memorabile,

se ci sarà qualcuno a ricordarlo.

Ci dovremmo preoccupare

prima o poi. Ma anche adesso

non c’è cruccio più serio

visto che lo spegnersi del sole

a confronto

non sarà che un incidente di passaggio.

 

Distesi in questa camera da letto

guardando le stelle

in una calda sera di settembre

vediamo lo Scorpione

uncinare le cime dei palazzi,

il Delfino appoggiarsi su un’onda

che adotta l’intera Via Lattea

come una cresta schiumosa

mentre il Sagittario è un grumo proprio là,

dove la spirale

cade ad arco sui tetti illuminati.

 

Molto più lontano, M31

(da non dimenticare, M31)

sparge una debole nube.

Le costellazioni ci sono ancora amiche,

per adesso.

 

Intanto, dall’East River allo Hudson,

l’autocarro dei pompieri ha liberato

le sue erotiche sirene

e gli antifurti accaldati delle auto

a intervalli

fanfarano di gioia.

 

Dal nido di piccioni che sta sotto la finestra

viene un tubare che è poco

diverso

dal suono contratto

di un pulsar.

 

I cani immensi

dei nostri piccoli vicini

frugano ancora il giardino,

scoiattoli si lanciano

da un ramo a un altro ramo,

non più pesanti dell’erba,

non più leggeri della brezza.

 

E’ quasi l’ora che Saturno,

ottocento milioni di miglia,

quasi nulla,

si arrampichi su un cielo

giusto ai piedi di Andromeda

che ha una luce stasera

dell’età

di una punta di selce

trovata in una grotta.

 

Il passato ci raggiunge con notizie

del futuro, e noi che dal letto

guardiamo la vetrata, veneziane tutte alzate,

siamo il punto di sezione

dove niente è come prima

e nessuno avrà modo di sapersi

in quello che sarà.

Ci dovrebbe venir facile parlarci

con la testa sul cuscino.

Anche questo è uno stemma molto antico,

un’araldica solenne d’onestà.

 

Però non ci parliamo

e fuori il vento sta coprendo di nubi

una stella collassata

che ha una massa più grande del sole

compressa in un diametro

di meno di dodici miglia

in una raffica di raggi gamma e X

che nessuno strumento li vede

se non i nostri occhi così umani,

e palazzi adesso neri si alzano a sfregiare

il tessuto d’orizzonte come chiodi

su fiancate di auto nuove.

 

Niente ci spiega perché nell’alone blu ghiaccio

e d’argento sui bordi

di un ponte di luce

che principia a sfrangiarsi lentamente

come un lampo di test nucleari

(pare strano che non scoppi in un accordo di flicorni)

a noi lontanissimi

dall’essere lontani

ci viene così greve di trovare

parole per noi due

che non siano un po’ amare, un po’ insincere.

 

Eppure abbiamo sangue d’altri amanti nelle vene,

lo sentiamo il lavoro che hanno fatto

perché nel nostro nulla

si insinuasse il ricordo di quell’ira

e del calore

acceso al loro fianco.

 

Rendendogli omaggio ci alziamo

rimandando altre battute,

altri finali di commedia,

e stiamo a guardare dai vetri

una fine di stella invisibile.

 

E’ proprio a noi,

solo a noi che si trasmette la sua luce

come una torcia bruciante

nelle mani di uno stravolto

maratoneta.

 

(Mi hai chiesto se mai inventeranno

una macchina del tempo

e io ti ho detto no

perché il passato non esiste.)

 

Così, non vuoi essere un segno per me,

non sarò io lo stesso per te,

prima che il firmamento tiri un frego

su se stesso, su di noi,

e ciò che è accaduto una volta soltanto

non sarà revocabile,

così come avverrà

senza eccezione

per ciò che si ripete?