Ippocrene anni precedenti

Ippocrene 2010

Ippocrene 2009

Ippocrene 2008

Ippocrene 2007


ALFREDO ENTITA': VENEZIA E LO SPECCHIO DEL VEDUTISMO

 

 

 

 

 

 

 

             La bella e regale Venezia, la Venezia fastosa e austera dei Dogi e quella civettuola delle regate e delle feste, delle mascherate seriche e dei Brighella è tutta lì intenta ad ammirarsi, con le rughe e i belletti del tempo trascorso e di oggi anche, allo specchio del « proprio » vedutismo. Ad accoglierla così ornata di fasto e di giovinezza eterna, fiorente e matura, non poteva non essere che la fastosa cornice della residenza ambita dei Dogi e delle Dogaresse, la cui regalità fu invidiata un po’ da tutto il mondo di ieri: Palazzo Ducale.

            E’ qui, nell’austerità di tanta residenza, che ben due secoli di pittura paesaggistica veneziana, singolare incanto della laguna, gareggia tra i suoi geniali pittori dando l’avvio alle più animate comparazioni, alle più dotte diatribe anche di autograficità di questo e quel dipinto, di recente o nuova acquisizione, a quel pittore od a questo di quel singolare periodo.

            La polemica intorno ai Guardi confinati, per amor di cronologia, alle ultime sale, è ancora scottante e tutt’altro che affievolita. E si rinnova alle ultime sale, riversando l’interesse un po’ su tutta la rassegna che qui ha i suoi massimi giganti in Canaletto, Bellotto, Marieschi , in qualche modo. Discussioni costruttive anche, dispersive e infruttuose qualche volta. Lo specialismo raffinato, spinto all’estremo limite, talora infastidisce rivelandosi arido, sterile, poiché fa perdere di vista quel che più bisognerebbe mettere a fuoco: la bellezza dell’arte quale godimento, quale dato di formazione ed educazione del gusto e dell’amore per l’arte stessa. Amore ed educazione composte e civili, fatte anche di elevatissimi, nobili sentimenti. Questa e solo questa è la funzione dell’arte qualunque sia o possa essere la sorgente più o meno centrata dalla quale irrompa, scaturisca genuina, spontanea e luminosa.

            Per la verità, siamo rimasti sorpresi nel non vedere aggirarsi per le sale, nel non sentire, così come eravamo abituati, nel non incontrare attorniato da animati gruppetti di studiosi e giornalisti, il vitalissimo e mordace anche,  polemico e brillante veterano vivente degli studi dell’arte veneta: il professor Giuseppe Fiocco. Ci era avvenuto di incontrarlo e sentirlo, tutto arguzie e spirito critico, tante altre volte, utile alla validissima rassegna dei Guardi a Palazzo Grassi ed a Udine a San Francesco, nel corso della stupenda rassegna dei pittori veneti del Settecento.

            Ma se del Fiocco ( che ci auguriamo di incontrare ancora a Venezia mentre discute dei vedutisti e, perché no, ancora di Francesco e Giannantonio Guardi ) ci mancherà la figura e la verve, rileviamo che le fasi di questa manifestazione continuano a svolgersi egregiamente con la regia dello Zampetti, matura di esperienze in questo delicatissimo settore,  e della sua qualificata schiera di collaboratori, talché  l’evento continua a suscitare il più vivo interesse avendo richiamato a Venezia studiosi di ogni parte del mondo che come sempre, faranno rivivere su riviste e giornali quanto qui si vive nella mostra, suscitando nuove  attenzioni e facendo convergere verso la Regina della Laguna una focalizzazione di nuovi studi, sempre utili, sul vedutismo nei suoi più svariati, molteplici, vitali aspetti e dell’arte e della vita medesima dei veneziani del tempo.

            C’è qualcosa che non condividiamo compiutamente o non condividiamo affatto: la faccenda delle derivazioni e discendenze, delle filiazioni e stimoli, degli antecedenti e susseguenti, degli antefatti e via dicendo. Anziché condividere tali tesi siamo piuttosto disposti a rovesciarle, ad affermare chiaramente che il vedutismo è fenomeno prettamente ed esclusivamente veneziano e lagunare e che Venezia il vedutismo se lo è creato da sé, dato che a Venezia vi furono pittori eccelsi, da che Venezia soggiogò col suo fascino quanti si provarono a ritrarla con lo splendore delle sue architetture e con la fantasmagorica scenografia festosa delle sue regate  e delle sfilate con principi e re, dogi e dogaresse, ambasciatori e rappresentanze straniere d’ogni sorta, tante quante non ne ebbero mai altre civiltà e paesi al mondo tra i più ricchi e civili, più fantasiosi e festaioli.

            Il colore poi e la luce e quel certo gusto, sono caratteristiche scaturite in loco atte a stimolare, a ridestare e sollecitare in tutti l’apprezzamento per le vedute paesaggistiche larghe, aperte, solari specchiate nelle acque che hanno il potere di rifletterle e farle rivivere per rimirarle a passo di danza, invitando a goderne ed ancora riviverne in una realtà di sogno da nessun altro sito al mondo posseduta, essendo certo Venezia frutto di creazione divina e scintilla della mano del “divino Fattore”.

            Speriamo che in un futuro piuttosto prossimo il prof. Zampetti che tutte queste cose sa assai meglio di quanto noi non sappiamo, ed ha percezione, gusto e sensibilità maggiore che noi, si convinca a presentarci i pionieri, i più veri e validi, indiscussi del vedutismo veneziano, primi fra tutti Giorgione e Carpaccio ( e viceversa ), essendo quest’ultimo, originale e sommo,  fantastico architetto di una Venezia eterna, reale e di sogno.

            Gli altri paesaggisti e vedutisti che hanno in seguito fatto del « vedutismo scientifico » discendono dalla matrice veneziana evolutasi nel tempo, né più né meno che pianta messa a dimora soltanto lì, a Venezia, dove poteva allignare e dove poteva emettere profonde radici e dare rami, foglie e fiori, tanti fino a maturare i frutti dell’odierna rassegna con i Canaletto, Bellotto, Marieschi, Guardi e quant’altri li precedono e seguono con tono certo meno impegnato ma sempre brillante.

            Gli stranieri l’impegno lo hanno avuto per loro conto e non hanno mai mancato di « spizzicare  » le cose nostre senza neppure far sì che ce ne accorgessimo e senza dircelo, contrariamente a noi che a torto o a ragione siamo stati e siamo sempre pronti a riconoscere agli altri ( e gli altri pronti ad accogliere e a toglierci, come a nasconderci e a negarci ) i meriti che nessuno potrebbe confutarci.

            Ma a noi, noi, come se i Bellini e i Carpaccio e persino i Mantenga e Basaiti e il siciliano Antonello, fossero passati senza lasciare orma alcuna di gusto paesaggistico, sia pur anco non isolato da episodi di vita, di storia e di mitologia o di spunti del vecchio e nuovo testamento, continuiamo a fare atto di ossequio agli stranieri asserendo che le nostre sono vedute – e senza di esse non si sarebbero mai fatte – alla fiamminga o all’olandese, alla tedesca   e non so a che altro. Diversamente, quale Venezia ne verrebbe fuori  al disopra e al di là della realtà veneziana, dato che la Venezia dei nostri vedutisti è condita d’Olanda e Fiandra, almeno nello spirito e nel gusto, nella luce e nel colore, nella vitalità stessa della veduta, e non di veneziano umore e sapore, spirito e sostanza, sostanziale eterna bellezza?

            Senza negare e nulla togliere a Sebastiano e Marco Ricci, veneziani , ci chiediamo a quale titolo Paolo Veronese ha collocato a sfondo  dei suoi innamorati e patetici protagonisti certi sfondi di paesaggio con ruderi e montagne e albero e pastori e gregge e mandrie di bovini come vediamo ancora oggi nella Villa Barbaro ora Volpe a Maser. Non meno importanza o interesse mi pare debba attribuirsi come inizio di questo genere di paesaggio a Gian Battista Zelotti, come testimoniano alcuni affreschi della Villa Roberti a Brugine. Senza dire che infiniti esempi di paesaggio alla Sebastiano e Marco Ricci affiorano un po’ in tutte le ville del nord dell’ambiente veneto in particolare e che è da questo genere che il vedutismo ha il suo avvio, ha mosso i suoi primi passi adulti, quando l’interesse isola il paesaggio, la veduta come genere a se stante e l’artista soggiogato, attratto da una Venezia che richiede ( impone! ) di essere tramandata documentariamente, con acquisita coscienza di questo nuovo genere di pittura paesaggistica che fa scientemente alla Canaletto e alla Bellotto, alla Marieschi e alla Guardi, sia esso Francesco o Giannantonio poco importa dato che la bellezza dell’opera tutta nulla toglie e nulla aggiunga alla anagrafica partizione e che la differenza di stile è possibile ricondurre ad un particolare momento di matura evoluzione della personalità artistica decisa anche a dare un formidabile strappone a tutto un passato ed a ricominciare di nuovo con una nuova visione, una nuova espansione di colore e delle forme ed un nuovo modo di sentire e dosare la luce ed ancora di sentirsi rimescolati dentro il tutto, rigenerandolo.

            Che poi un Van Wittel più o meno italianizzato ed un Heinz trapiantatosi a Venezia facciano del paesaggio alla veneziana un poco in anticipo rispetto al Canaletto nell’istante ( e non nel momento ) in cui « primavera è nell’aria », non sta a significare nulla e non sta a costituire nessun primato o precedente dato che tutta la sostanza del vedutismo prima o dopo Canaletto e Bellotto possiamo scorgere in quella Venezia del carpaccesco Leone di San Marco che lo Zampetti ha avuto il gusto e la certezza orientativa di porre – di collocare! – ad inizio di mostra come ad avvertirci di quanto eventualmente avremmo potuto con facile svarione ritenere. Ed è da lì che inizia, scientemente, con netta e categorica presa di coscienza, il vedutismo dei veneti e non, precedono o meno Canaletto o Bellotto depositari autorevoli ed inconfondibili del vedutismo.

             Non è questo il momento di addentrarci nella questione che è nostro vivissimo desiderio trattare in una sede più adatta  ed affrontare dalle radici.

            Heinz e Van Wittel han saputo profittare della lezione dei veneziani inserendosi nella schiera dei pittori di paesaggio che muove i primi passi da noi, dai veneti per l’appunto del Quattrocento e Cinquecento, senza peraltro assurgere al ruolo di Canaletto e Bellotto che Venezia sentivano ribollire nel loro sangue e ritrassero con spirito, amore ed umore, umoristicamente anche, assai diversamente da come hanno potuto ritrarla e tramandarla i due stranieri, di temperamento misurato, piuttosto compassati e gelidi rispetto al fuoco che ardeva in corpo, in maniera particolare al grande ed inimitabile, singolare ed unico, Canaletto, di cui, le pubbliche raccolte veneziane, colmo dei colmi, non posseggono un esemplare.

            Conta piuttosto più di tutto che le vedute ci fossero, esistessero nella realtà creata – ecco il punto – Venezia veneziana che ha dato vivo ed ha donato al mondo questo fascino di realtà, questo singolare ed unico stralcio di mondo e di tempo che ha richiesto di essere fissato per sempre sulle tele e su marmi con pennelli, scalpelli, luci colori e sentimenti, nel tentativo riuscito di tramandare e perpetuare, la indescrivibile ed inimitabile esplodente bellezza, senza la quale non ci sarebbero stati i Bellini e i Carpacci, i Giorgioni ed i Canaletto, i Bellotto ed i Guardi, non tenendo conto, ben s’intende, degli stranieri che a Venezia sono debitori di quanto illuminatamene loro ispirò ed insegnò.

                                                

Alfredo Entità

 da “ Corriere di Sicilia “, Catania  25 giugno  1967