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ALFREDO ENTITA' su Genesi e Linguaggio della scultura di EUGENIO RUSSO

 

 

 

 

     Visitando lo studio di un artista della lega di Eugenio Russo, ci si trova sempre dinnanzi a gradite sorprese, a conquiste che sul piano dell’arte figurativa costituiscono un decisivo passo avanti per la sua evoluzione.

     È quanto mai istruttivo e sorprendente rilevare come Russo, spirito isolato e lontano da tutto il frastuono spesso generato con ogni espediente dalla quale totalità degli artisti, niente affatto amante della illustratissima carta stampata e del libro d’arte nutrito di sole riproduzioni a piena pagina, tragga stimolo anche da elementi popolareschi, i più impensati e trascurabili, per suscitare immagini d’arte tanto personali e ricche di interiore contenuto.

     E vien dato di chiederci: È la sua natura schiva da ogni arrivismo che lo spinge verso forme direi « rudimentali », o lo spirito tendente viepiù ad isolarsi, rifugiandosi in seno a quella natura o realtà dalla quale solo può scaturire una intensa ed espressiva vita dell’arte? È un consapevole impegno con se stesso, quello di respingere ogni sollecitazione esterna, o la lega genuina della sua origine calabra che lo porta a  rifugiarsi nella limpida anima del suo popolo, densa di primitivi sentimenti, dove ogni atto della vita, sincero moto dell’anima, torna alla radice da cui è generato? Non c’è nella scultura di Russo tutto il religioso e commosso raccoglimento che esalta una vita senza artificiosità, senza un batter di ciglia, uno sguardo  od una parola che non siano voci raccolte dalla eco profonda dell’anima, dal coro di voci dettate dalla divina ebbrezza della vita? È un canto di voci balbettate, incolte, di preghiere inespresse, di trasporti senza parole, che commuovono per la spontaneità, la naturalezza di una costante della vita che non rigetta ma ignora, sconosce ogni più semplice sincerità. Ed è perché c’è, perché affiora dall’intimo valore della vita, in tutta la scultura di Russo, la religiosità arcaica del suo atavico ceppo fatta di puri istinti, di consacrazioni dell’«io» che ritrova tutto se stesso solo nella sincera purificazione di ogni sentire. Palpito generatore di tutta la vita, voce lontana non estinta nei millenni, risuona insistente nel cavernoso vuoto del tempo dove tutto si purifica lasciando cadere nel nulla le impurità e i falsi istinti non configurati in una spirituale unicità dell’ Essere che tutte le cose divine sospinge nel suo incessante divenire.

      Questo il nucleo centrale, essenziale della scultura di Russo, quanto avvertiamo introspettivamente, centrando il nostro interesse nella rettilinea, coerente sintesi del suo mondo plastico, nelle sue forme arrestate nel cogliere la sola immaterialità della vita.

     Una sempre più interessante produzione di sculture con caratteri prevalentemente decorativi, va ornando da qualche tempo case e ville di qualificati cultori d’arte. Questa più recente produzione trae nientemeno origine, specie nelle vistose fogge del panneggio e nella rigidità sacerdotale proprio della scultura votiva egeo-cretese, dalle capricciose ed improvvisate figurazioni di decorative formelle di pane che vediamo esposte in alcune vetrine di nostri fornai. Questi, allettati dall’arrendevolezza della materia a manifestarsi «scultori», improvvisano scapricciati animali («gaddi», «pisci»), o vegetali (« spichi », « gigghia »), o figure sacre e profane (« Sant’ Aita », « u Bammineddu », « a ballerina »), o ieratiche immagini estranee a qualsiasi riferimento, dove il ricamo delle vesti, le piume o vello degli animali o la lanceolata varietà delle foglie, sono sintetizzate da una fragrante e appetitosa superficie a « bugnato », più o meno rustico e irregolare, ottenuto dallo svelto gioco del coltello o dalle dita modellanti il « volto » della plasticabilissima pasta che la cottura colorisce un po’ a mo’ d’argilla e dilata facendole assumere fiorite forme d’arte popolaresca, spesso dense d’umore e di decorativo sapore paesano.

     Da questo « commestibilissimo » mondo plastico, Russo ha tratto lo stimolo per dar vita a tutto un mondo muliebre sospeso tra il paesano erede di residuati costumi greci, dove la preziosità è data dalle grezze fioriture a fettucce e fiorami ricamanti gli abiti severi, e dagli smalti fusi in una cromia che, nella sua disuguale luminosità, ben si disposa alla ingenua semplicità delle espressioni abilmente colte negli aspetti severi di misteriosi riti.

     Sorge così tanto spontaneo il riferire queste figure a statuette fittili e bronzee dell’età egeo-cretese e micenea o addirittura ai bronzi nuragici. Questa l’ultima gustosa sorpresa offertaci dalla scultura ceramica di Russo, il cui accostamento col sepolto mondo arcaico è puramente occasionale.

     Vedremo anzi che certi caratteri della scultura vera e propria di russo, come quello di solcare il panneggio con linee verticali o falcate, spesso indipendente dal naturale avvolgimento degli abiti, sono esclusivi della visione dello scultore e potrebbe solo approssimativamente trovare qualche riscontro nella ondulata e avvolgente linea di Agostino di Duccio. Qui però, la linea è « modellata » in superficie, con pittorica ricerca di effetti decorativi; in Russo, incavata, quasi sempre verticaleggiante, s’incide in cerca di una rigidità di natura sacerdotale che tende a immobilizzare la figura nella sua statica e direi astratta tensione di assorta contemplazione, escludente ogni ricerca di effetti pittorici-decorativi e sola intesa a dare risalto, ad esprimere una immobilità.

     L’interesse della vera scultura di Russo, del suo costante modellare, è costituito da questa scultura, diciamo così, « pura »; da forme « cosmiche » e da una ricca produzione di disegni « incisi » o « scolpiti », che rivelano la vera natura della sua sensibilità.

     Il gruppo di figure sulle quali abbiamo indugiato, costituisce la « novità » a cui Russo annette solo valore, diciamo così, artigianale. Forme destinate, direi, ad assolvere una funzione doppiamente pratica.

     Ma la sua attrazione, il suo totale interesse, è per le « forme pure », svuotate da ogni spunto polemico o da qualsivoglia dialettica. Fuori, direi, dal tempo, confinante in un vuoto cosmico incorruttibile, dove tutto è raggelato nell’attesa del divino fluire, estranee all’incessante disfarsi, perire e ricomporsi della materia. A questo cosmico sentire aderisce un modellato tutto rigide energie, ridotto alla più pura e palpitante aderenza alla natura che esprime, al primordiale puro senso. Sicché le forme generate dalle sue mani corrispondono sempre ad una connaturata commozione, a momenti puri e particolarmente significativi di una vita sublimata nella religiosità della casa, nel culto di affetti umani intessuti di palpiti, di commossi atti d’amore che ritraggono il mondo femminile negli istanti in cui, in intimo colloquio con se stesso, diviene tutto sentimento, bellezza e purificazione, canto elevato alla vita senza un atto o un gesto o una voce che tradisca questi sacri riti del regno maritale, questo culto che ha il suo tempio nel sacro recinto domestico.

     Questi raccolti e muti soliloqui con l’anima delle cose, Russo ha arrestate nel grezzo dell’argilla, materia la più aderente, proprio per la sua natura, ad esprimere questa religiosità semplice della vita. La opacità del suo colore privo di colori in sé, il rustico delle sue superfici, le raccolte esemplificazioni dei suoi piani, quel costante piegarsi della materia verso un nucleo centrale tendente a comporsi, privo di improvvisi scompensi o dispersivi effetti stilistici e di una qualsiasi ricerca del particolare, quella energia propria della materia tendente per natura ad avvolgersi in andamenti o adagi musicali, in ritmi sorvegliati e contenuti in una atmosfera di raccolta intimità, sono le corde vibranti di questo commosso mondo incantato, destato da Russo come da un sogno di millenni.

     Natura direi « monocorde », Russo non ha subito allettamenti né sbandamenti di sorta e non ha mai volto la sguardo fuori dal suo «sentire ». Ha sempre scrutato in sé, affondando nell’intimo della sua anima, la sola sorgente alla quale ha attinto le commoventi immagini tutte poesia della sua vitalissima scultura, nuova soprattutto e fuori da ogni passeggero soffio di moda, sempre.

                                                                                                                                            Alfredo Entità

 

 

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