ROBERTO SEVERINO

 

Roberto Severino è nato a Catania nel 1940 e dal 1964 si trova negli Stati Uniti dove ha svolto attivita’ di docente di letteratura italiana dirigendo per 15 anni l’Istituto di Italianistica della Georgetown University a Washington, DC.
Oltre a vari saggi critici e linguistici ha pubblicato due sue sillogi poetiche, ha tradotto alcune raccolte di poeti italiani contemporanei in inglese, ed e’ stato incluso in numerose selezioni di poesia italiana e straniera.  Le poesie presenti in queste pagine vengono pubblicate per la prima volta.  Vasta e’ la bibliografia critica sulla sua opera.  Sally B. Vanderhoof, University of Louisville, Kentucky, ha scritto una tesi di Master sulla sua poesia intitolata The Voyage and the Word.  The Poetry of Roberto Severino.   Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo



pro memoria

solo per poco
vaticini e presagi
mi dettero in sorte di divinare
il tuo nido segreto
e riannodare il canto ma come alibi sacro

   sotto raggio di luce stravolto  

   nel vallone di perdute cose   

   accendesti poi sensi e rimorsi
ed ora in me restano solo
echi di deluse certezze
e il mio incedere
è quello di flebile viandante
che troppo ripercorse
I secreti biforchi di dubbiosa strada
divenendo infine
infausta guida
porta d'enigma



preghiera laica per mia figlia

e diffida dei vecchi
che senz’ansia o sgomento
biascicano dai pulpiti saggezza
senza che essi più intendano
i disconnessi frammenti
di tralignata gnosi
   il nostro è perverso delirare
   di chi uso all'inganno
   guarda solo alle spalle
lascia invece che la tua sapienza
fiorisca lontana
dall'insània corriva dei padri
e il tuo errare sia santo e fecondo 
e foriero di gioia e apprendimento



ritorno

ad adempire infine
i compiuti effetti
come nera nave ulissiaca la vita
volgerà prora verso l'isola estrema
olente di ginestre e almi cipressi
   i lestrigoni e sirene dei tuoi incontri
   minacciosi saranno solo se tu vuoi
   o se ferocia d’uomo è ancora in te
ma se propizio
il viaggio sul gran mare è stato
dagli dèi concesso anche ti sia
dopo sí inquieto remigare fra tempo e spazio
che armonioso sia l'ultimo abbraccio
della casta Penelope sempre in attesa
come perenne stella polare
e che accogliente s’apra
madre sposa e sorella
e in lei scompari


 
favola agnostica

non è certo consentito
a chi è destinato al nulla
e a fatalmente perdersi
d'abolire il presente
e allontanare da sè la mitica cometa
  ormai sai che alla fine la vita
  assolve perchè non dura
e come inerte cenere d'asbesto 
avvolge pietosa e soffoca
in soffici spire
di spenta meteora



del dolore

corolla
e preludio di vita
nel buio opaco della lunga notte
il sargassico mare scuote e ribolle
e come sogno che si fa pianeta
partorisce altri mostri
altre chimere


 
epifània

quando
fissata barra su rotta circolare
pel lungo viaggio
dall’isola partì
alla fine il vecchio marinaio
non solo patria cercava
ma anche ustoria lente
ludica certezza d'ultimo approdo
 


la follia dei saggi

la follia dei saggi
non è
come nequizia di uomini astuti
che costruiscono
offesa su offesa
l'infinito dolore della storia
  essi pur sanno
  che sul gran palco
  a re che muore altro re sempre succede
  e che alla fine il reo
  si dilegua impunito
oscena insània
la vita
contrappone al falso falso peggiore
e come maldestra scena di fondale
lascia slabbrati travedere muri
d’immenso inganno
d’angoscia infinita
 


quaestio II

percosso scafo alla deriva
simulacro di diafanico presagio
il mondo ti ritornerà incontro
e sogno sarà il naufragare
che ingenera desiderio di loto
e furtivo dissolve spente memorie
  ma mi sarà dato di presentarmi all'incontro
  col peso giusto di compiuta stanchezza?
 


sei già lontana

sei già lontana
ma isola non più ignota
in te ripercorro ogni andito
del tuo corpo teso e vibrante
come pesce sguisciante di scogliera
sorpreso dall’onda alta sulla riva

e cerco ancora
con labbra docili e febbrili
l’alghe salmastre in cui
come d’agonia t’eri rattorta
per ripensarmi placato
sul matido guanciale
del tuo ventre
 

favum mellis

vago oscuro languore
nel complice ansimare
d’infiammata cera
che muore
sussultando
in un ultimo brivido
di tumescente oblio

nell’ombra sculto
solo afoso velo
di salvatico miele
inquieto odore

 

ode di disamore

non con simmetriche parole di filosofo
ti parlo
ma con infinita tristizia
d’estenuata illusione
non con sottaciuta voce che sapiente suade
o armonia di polito inchiostro
ma con grumi d’inalveata pena
e disarmonia d’inculto prevedere

e in te ora mi scavo
donna perduta perdutamente amata
nel greve ansimare di scirocco
che ottuso molce spente chiome di lava
e ossessivo affonda
ansiosi denti di crotalo di mare
anelanti l’abisso