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ARTURO BARBANTE - TESTO DI ANDREA GUSTELLA

 

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Arturo Barbante

Lo studio di Arturo Barbante è una stanza della sua casa di Vittoria; un appartamento ai piani alti, con ai piedi la città. Gli ambienti della casa sono gremiti di dipinti, suoi e altrui, e di oggetti da collezione. Arturo ha ad esempio una grande passione per gli xilofoni; ne possiede centinaia, tutti coloratissimi e dalle fogge più strane. È una passione antica, la sua, che affonda le radici nell’infanzia, quando il padre lo accompagnava alla festa di san Vincenzo e Arturo bambino era affascinato dal sibilo acuto, pungente di quel piccolo strumento. Col passare del tempo, tale suono ha rivelato a pieno la sua natura di sberleffo, di pernacchia rivolta all’oppressore, di affermazione festosa di indipendenza e libertà; una sorta di richiamo, di cenno segreto, che ha affratellato per secoli l’intero Meridione e ancora oggi fa sentire la sua voce nei fischietti antropomorfi di Leone, il compianto ceramista calatino. Sono, questi ultimi, delle sculture vere e proprie: emettono un suono, ma soprattutto hanno un’anima, una parvenza di vita. Appartengono a quel mondo contadino legato alla terra e ai suoi riti di rinascita così centrale nella nostra tradizione; un mondo che anche Arturo ha cercato di cogliere nei suoi lati più oscuri e nella sua spontaneità. E non altrimenti che spontanea, vitale possiamo definire la sua pittura palpitante di linee e squillante di colori. Una pittura in perenne vibrazione, cui l’artista è approdato solo dopo un lungo viaggio, che lo ha visto sostare nei porti del neorealismo e della nuova figurazione, in una costante tensione alla sintesi di passato e presente, introspezione e impegno, memoria atavica e modernità. Fondamentale è stata, perciò, la riscoperta di un movimento controverso come il futurismo siciliano che, pur animato da istanze modernizzatrici, non ha mai smarrito una sua vena intimista e popolare. Coronamento di questa ricerca sono i suoi lavori più recenti: barche di lusso, scarpe, hamburger, avventori di locali notturni, ciclisti, nuotatori. Figure della contemporaneità, omologate dalla ripetitività di alcuni tratti, che hanno fatto pensare alla Pop art. Ma mentre l’arte di Andy Warhol si sforza di mostrare che tutto è sempre uguale, per Arturo nessun dipinto è pari a se stesso, tutto cambia. La sua tensione all’incontro degli opposti è infatti anche unione di una pittura di linea, dai contorni netti e definiti, che rimanda alla riproducibilità degli oggetti consentita dalle tecniche di diffusione di massa, e di una pittura nervosa, istintiva, gestuale, dove forte è l’influsso dell’Action Painting nella sua variante europea. Anzi, è proprio attraverso questo insolito connubio di tecnica attuale e antico artigianato, duplicazione grafica e lavoro manuale, che il linguaggio di Arturo trova il suo registro più specifico e la sua nota peculiare. Come sa bene la saggia civetta tanto cara all’artista, quel bimbo non si bagnerà due volte nell’acqua dello stesso mare, quel tuffatore si lancerà dappertutto fuorché entro i confini del suo quadro e anche quando la pubblicità parrà sommergerci, ci sarà sempre un guizzo, una scintilla di gioia ad attestare il trionfo della diversità.

Andrea Guastella

 

 
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