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ELISA MANDARA'

 

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PREFAZIONE


     La geografia ha voce in capitolo nello studio della letteratura? Può indirizzare le scelte, tracciarne i percorsi? E’ lecito parlare di una lirica propriamente “siciliana”? Queste alcune domande suggeritemi da Al cuore della mia razza di Elisa Mandarà; domande che l’autrice stessa si pone, riconoscendo si dalle prime battute del suo saggio su “poesia in lingua e itinerari iblei nel secondo Novecento siciliano” la problematicità del criterio regionalistico adottato: molti degli scrittori passati in rassegna nel libro sono infatti siciliani solo di nascita, migrati in terre lontane e/o alimentatisi (emblematico il rapporto di Cattafi con la “linea lombarda”) in un humus culturale separato e distante da contesto locale.
     Forse la “diaspora” del siciliani andrebbe intesa, più che per una semplice urgenza alimentare, per un estremo tentativo di sprovincializzazione, per un atto disperato di rinuncia all’eredità folklorica di cui è interprete certa poesia in dialetto, volutamente ignorata dalla Mandarà. E a ciò si aggiunga che al moto di fuga dal centro appena descritto ne segue quasi sempre uno centripeto: la distanza orizzontale frapposta, in senso spaziale e metaforico, tra il poeta siciliano e il paese natale, con i suoi usi e le sue tradizioni, finisce il più delle volte per risolversi in scavo verticale, in viaggio della memoria all’indietro verso le origini perdute..
     Di là da queste linee generali che, come ognuno vede, non dipendono da un cromosoma impazzito nel Dna dei siciliani, quanto dal naturale maturarsi di esperienze culturali, sistemazioni critiche ad effetto (li “sicilitudine”, l’”isolitudine”, la Sicilia “sofisticata” e “barocca”) di cui si riferisce nella parte iniziale del lavoro rendono poco giustizia a individualità artistiche ramificate e complesse, meritevoli di essere affrontate nel loro specifico e nelle relazioni intrattenute con la letteratura europea (ma il primo capitolo della Mandarà è una semplice premessa e non ha alcuna pretesa di esaurire, bensì di introdurre – e in questo riesce perfettamente – la materia in questione). Ben più interessanti i rimandi al legame intertestuale tra le opere narrative dei maggiori scrittori isolani e le rispettive opere in versi (si pensi al Bufalino dell’Amaro miele o al D’Arrigo di Codice siciliano): un campo di ricerca che potrebbe impegnare a lungo, e con profitto, le nuove leve della critica nostrana.
     Dove Al cuore della mia razza  consegue esiti largamente positivi per originalità, competenza e ampiezza di vedute è nella seconda sezione del saggio, interamente dedicata a quattro poeti dell’area iblea. Qui - il lettore avrà occasione di comprenderlo da solo – gli interrogativi sul rapporto tra geografia e letteratura o sull’opportunità di parlare di “poesia siciliana” cedono il passo alla necessità empirica di accogliere, con gratitudine, il dono di una lirica che potrebbe essere nata altrove, ma che la Provvidenza ci ha affidato. Non l’avrà fatto perché ne abbiamo bisogno?

Andrea Guastella

 
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