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GIOVANNI OCCHIPINTI

 

   

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    Da sempre Giovanni Occhipinti, nelle poesia in versi, nella narrazione in prosa e nella critica, tende all’opera totale, che abbracci in se l’intera scansione dei tempi cosmici, per giungere meglio a rendere il significato della nostra vita e della nostra storia. Non siamo mai di fronte a un’occasione dell’esperienza, a un paesaggio, a un moto dell’anima, a una visione, a un sogno, a un personaggio, a un singolo autore da leggeree da analizzare, ma ogni volta a un episodio che ha senso e valore soltanto se è collocato nella sequenza complessiva del divenire della natura del mondo, dell’umanità. Il poema Dalla placenta del mare è, in qualche misura, l’esempio compendiarlo di tale concezione della creazione letteraria, che è anche sistema filosofico e cosmogonico fatto ritmo, verso, parola, forma delle cose, esplicazione delle ragioni supreme delle cosecome stanno, delle azioni umane, degli errori e degli orrori della storia come dell’esistenza. Il poema racconta le origini della vita, il momento iniziale del tempo e del riempirsi dello spazio di esseri e cose, l’epifania di Dio, la definizione dei caratteri, vitali, la radice dei sentimenti, delle passioni, dei comportamenti, destinati a prolungarsi fino a oggi nelle manifestazioni più feroci, più rovinose, più disperate quali la storia e la cronaca contemporanea rivelano. C’è, nel poema, di consequenza, un’alternarsi continuo di tempi e luoghi: quelli delle origini e quelli attuali, in un confronto che cerca di ritrovare e di definire fin dall’esplodere della vita « dalla placenta del mare » le motivazioni della lunga traccia di sangue e di dolore che segna di sé i secoli, fino alle vicende che ci vedono partecipi e complici; e, di consequenza, l’oggi, con tutto il suo specifico carico di violenze, di guerre, di morti, di insensatezza, che ha, al culmine, la bomba di Hiroshima. Una tesatura grandiosa, per reggere la quale Occhipinti si avvale del tono epicamente grandioso della visione cosmica del formarsi della vita e della rapida  e incisiva denuncia del nostro specifico male storico, tuttavia ricuperando la scansione epico-cosmica quando la nostra vicenda di morte e di distruzione ha il carattere di apocalittica totalità, definitiva cancellazione proprio di tutto quello sforzo e quella fatica di nascere ed esistere , quali l’uscita dalla placenta del mare ha significato ed è costata. La costruzione del poema è adeguata all’idea che lo governa. C’è, di sostegno, il ritmo endecasillabico, scandito anche in versi regolari, ma più spesso interrotto e sommosso da a capo, rotture, isolamento di parole, stacchi improvvisi di immagini o, più spesso, di sentenze, concetti, pensieri, invocazioni, ricapitolazioni di eventi. Il verso, allora, si divide in segmenti o in gruppi di segmenti, dando così movimento inquieto e tormentato alla rappresentazione della storia cosmica del mondo che inavvertitamente diviene la storia degli uomini, con le sue vicende di sangue, di dolore e di morte. In più, Occhipinti convoca a costruire il suo poema un linguaggio mescolato, che alterna i modi alti del concetto e del pensiero con forme arcaicizzanti, citazioni antiche, modi fra il colto e il parlato di tempi e luoghi remoti, come per voler trascrivere la vicenda della lunga uscita dalla placenta del mare anche attraverso la progressiva costruzione del linguaggio in quanto deputato a raccontarlo secondo le varie fasi in cui essa si è scandita. Qui è l’abilità suprema di Occhipinti : l’unione della storia del mondo, con la storia del linguaggio che nomina le cose, gli eventi, il progresso dei tempi e della mente, ma che tutto poi pone di fronte alla persistenza della violenza e del male, fino all’apice del più completo tentativo di mettere fine a tutto con la distruzione atomica, che è anche l’esempio del più radicale modo con cui l’uomo ha prevaricato sulll’uomo nell’estremo della vocazione alla cancellazione della vita uscita alle origini dalle acque primigenie. Al centro, c’è la mediazione particolarmente alta su Dio come creatore o, comunque, come possibile e unico punto di riferimento capace di dare un significato a tutta la vicenda cosmica così come alla vita e alla storia. Sono i capitoli più profondi e intensi del poema, quelli in cui le due componenti fondamentali del discorso di Occhipinti più risuonano armoniche: la visionarietà e la concettualità. E’, infatti, questo il carattere assolutamente esclusivo della poesia di Occhipinti: di procedere per potenti visioni di acque, cieli, terre, formazioni di vitee di cose, e, contemporaneamente, per impegno costante di definizioni filosofiche, di meditazioni, di trionfi del pensiero sull’intrico degli eventi, sull’insensatezza e sull’infinito spreco delle forme e delle esistenze, sull’assurdità delle distruzioni e delle vocazioni a far rientrare tutto nella placenta del mare perché mai più nulla ne riemerga. Occhipinti sostanzia le due linee della sua rappresentazione po’ematica con citazioni, allusioni, nomi e figura della letteratura, delle arti, della storia del passato, che hanno la funzione di costruire la trama di fondo, che le faccia riunire pur nella loro diversità. E c’è, poi, entro questo complesso intrico compositivo, la presenza dell’autore, demiurgo, testimone, ricercatore di verità e di significato: l’implesso, cioè, da cui fluisce il poema di disperazione, di fede, di accusa, di speranza, di rovello, di utopia. Riandare poeticamente alle origini, fino a risalire a Dio, vuole significare la ricerca accanita e dolorosa del punto in cui qualcosa nella vita si è rotto, l’errore è stato compiuto o è accaduto, l’evento crudele, rovinoso. Significa anche prendere su di sé il carico del male del mondo in cui viene ricapitolato dalle origini fino ai casi estremi dei nostri tempi. L’alta ambizione poetica di Occhipinti, sempre esercitatatasi in sfide supreme con la parola e con le idee, in questo poema giunge ad attuarsi nel modo più perfetto.


Giorgio Bàrberi Squarotti

 
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