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EMANUELE SCHEMBARI

 

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Al principio dell’immobilità e ai suoi effetti s’ispira L’orologio elettronico di Emanuele Schembari: libro giunto ad appena un anno da Al di là del calendario, piccola silloge pubblicata in Romania, ma ben dieci anni dopol’ultima, organica fatica dell’autore, Il meccanismo dei mulini a vento. Anni  che non hanno generato alcuno scarto, alcuna presa di distanza rispetto alla media acquisita; piuttosto, in questa fase della sua produzione, Schembari sembra deciso a sperimentare i limiti di un congegno lirico ormai collaudato.
Come  nelle raccolte precedenti, pochi temi chiave, l’incedere implacabile del tempo, la scomparsa degli amici, la cinica indifferenza del creato fungono qui da contenitori validi per occasione e modulo ritmico preferito dal poeta rimane la caratteristica lassa narrativa di versi lunghi accostati paratatticamente: uno strumento enfatico che, col suo andare cantilenante, pone il dettato sotto il medesimo, ipnotico sigillo espressivo.
Incapsulato in tale dispositivo  «implacabile come un orologio elettronico / che vorremmo fermare  di cui non sappiamo il meccanismo » (L’orologio elettronico), l’io poetico dimostra tutta la sua impotenza di fronte alla morte e alla sua lenta, a volte violenta e comunque inspiegabile irruzione nella vita.
Sin dal testo d’apertura, dove la fine di ogni cosa è evocata con la semplicità vigorosa di un poema
Medioevale, il soggetto lirico inizia infatti a scindersi in due distinte persone, antitetiche e complementari.
La prima è il doppio di un fanfarone inconcludente, ritardatario e sprecone. La seconda assomma in sé le caratteristiche dell’uomo di successo, a cominciare dalla puntualità: «la morte è puntuale come un orologio» (Vita e morte). E quale orologio batte il tempo più correttamente di un orologio elettronico? Quale arciere è in grado di colpire con la stessa precisione millimetrica il bersaglio?
Ora, se il primo dei due attori recita il copione dei buoni sentimenti, il secondo è pronto s raggelarlo col bilancio di una vita d’insuccessi o con l’autocitazione ironica di prove del passata (penso al cielo / coperta ripreso ne La ruota dalla vecchia Stasera sono triste da mirire); viceversa, se il secondo pare ceda a un pessimismo cieco e disperato, il primo lo consola con un’insistente, esplicita delibazione memoriale (penso al fantasma del padre che torna  «nei sogni» de Il gioco).
Tuttavia in alcuni momenti, i più felici, cadono le maschere, la commedia delle parti si interrompe e il «noi» in cui il poeta solitamente si rifugia per darsi un certo tono cessa di essere la somma di opposti che si annullano a vicenda e rivela un’impronta di franca apertura alla fratellanza e all’amore.
Accade, in altre parole, che le strategie mimetiche ideate per vincere la paura di morire, lascino il campo alla constatazione che la morte non solo fa parte della vita, ma ne è coronamento e fioritura: «Sono nati i fiori nell’angolo del giardino / dove abbiamo sepolto il nostro gatto Matteo».
Su questo versante – il versante di quei sentimenti che, paradossalmente, proprio la consapevolezza razionale della morte ci presenta nella loro intima essenza di «luce»» e di «respiro» - la poesia di Schembari consegue i risultati più maturi e, forse, più toccanti:

 

Sfugge la vita a cui stiamo aggrappati
Mentre si sono persi valori e sensazioni
E restano solo i ricordi a bruciare
In un falò di battaglie perdute…
                       (Al di là del calendario)

Andrea Guastella

                                                                          
                                                 
                                                   
                                         
                                             


                                

 
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