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IGNAZIO APOLLONI: LA CALABRIA VISTA DALLA STRATOSFERA

 

         Ben sapendo che sono di madre lingua italiana e che capisco qualche parola di calabrese per essere vissuto per un certo tempo a Reggio Calabria e frequentato il liceo classico Tommaso Campanella (mai saputo chi fosse) TeleMontecarlo, in mancanza di un qualsiasi volontario mi assolda (ovvio che il compenso sarà pagato in soldoni); mi manda in albergo il biglietto in aereo andata e ritorno; mi dà le istruzioni necessarie. Dovrò recarmi prima a Cosenza, quindi a Maropati (dove sarà?) e infine a Reggio, dove è previsto che si tenga un convegno sull’opera di Antonio Piromalli: grecista sopratutto, mi fanno sapere in modo sibillino; uno che della Grecia in un primo momento ebbe nelle vene il meglio della civiltà detta di Pericle per poi passare sempre di più a questioni di maggiore e schietta italianità.
    Dal momento che ormai mi sento più francese che italiano; che ho perduto le radici; che mi riconosco più spesso nella Francia della rivoluzione che non in quella di Luigi XVI o Napoleone stento a capire perché proprio io (un miscredente, un apostata), dovrei andare a seguire quel convegno: e peggio ancora intervistare i relatori. Cui prodest peraltro quanto ne verrà in termini di letteratura italiana o calabrese se qui da noi, a Montecarlo, di calabresi non ce n’è nemmeno uno e di italiani anche meno? È pur vero che alcuni ristoranti propongono la stracciatella come specialità della casa; altri invece parlano di abbacchio con patate e inevitabilmente i francesi dopo la prima volta non ci si recano più perché a loro l’agnello piace solo a Pasqua e per giunta di marzapane con tanto di bandierina inneggiante alla resurrezione, che non con patate al forno.
    Come che sia non posso rifiutare, il compenso è molto alto (un milione di franchi); al seguito avrò tra gli altri il tecnico del suono e il cineoperatore; l’albergo a Reggio sarà l’Excelsior (vista d’incanto sul lungomare e sullo Stretto dove è previsto il passaggio di almeno due navi ogni paio di minuti); la serata finale sarà allietata, nientemeno, da Frank Sinatra in sottofondo mentre saranno servite tartine e champagne. Confesso che molto meglio sarebbe se venissero proiettate immagini di donne – le amate, le idealizzate, da Antonio Piromalli – giusto per restare in tema. Ed infatti, essendo troppo breve il tempo assegnatomi per predisporre il tutto, scrivere le domande da porre ai convegnisti e mandarle a memoria, non ho avuto troppo tempo per prepararmi sull’argomento. Mi sono sopratutto soffermato sulla sua esaltazione della femminilità pura che, sicuramente più di qualsiasi altro aspetto della sua produzione potrà accomunare l’opera del Piromalli alla letteratura francese alla quale noi di Montecarlo ci richiamiamo.
    Siamo ora allo Charles de Gaulle in attesa della partenza per Sant’Eufemia. Volo speciale ovviamente, tutto per noi, compresa la tratta Nizza-Parigi. Si dirà: mamma lo spreco! Non sa però la gente monegasca cosa li aspetta, quel che ne verrà in termini di espansione del concetto di Europa fino a raggiungere le ultime propaggini del continente; inglobare la punta dello stivale ed escludere quindi la Sicilia troppo incline a considerarsi parte del Nord Africa (e ciò si spiega col fatto che ci sono più tunisini a Mazara del Vallo di quanti non ce ne siano nella terra un tempo appartenente a Cartagine). Noi frattanto stiamo preparando gli attrezzi, lubrificando gli orologi perché la trasmissione riesca, quand’ecco uno dei soliti annunci: “Il sig. Apolloni in partenza per Sant’Eufemia con il volo speciale Air France è desiderato all’interfono per una importante comunicazione”.
    Chi sarà? mi domando. Che vorranno?
    Non faccio in tempo neanche ad alzarmi che vedo venirmi incontro un signore, garbato, dall’accento romanesco il quale in modo confidenziale e brusco a un tempo si presenta: “Sono Lanfranco Piromalli, figlio di Antonio. È lei che deve venire in Calabria per seguire i lavori del convegno? Volevo avvertirla, poi ho deciso di parlarle di persona per essere un po’ meglio sicuro che lei non debba prendere uno o più granchi. Sappia che ci sarà chi porrà l’accento sull’opera in verità molto meritoria di mio padre come meridionalista. Io tengo al contrario che si parli di lui come europeista convinto, seppure con qualche venatura di marxismo in chiave (o se si preferisce in salsa) rivendicazionista. Bando agli scherzi perciò se non vuole ritornarsene con le pive nel sacco”.
    Chi gli avesse parlato, o dove avesse imparato cosa sono le pive e in che senso debbano essere tenute nel sacco – a meno di qualche cerimonia matrimoniale scozzese laddove diventa doveroso suonarle – non volle dirmi malgrado le mie insistenti domande. Ad ogni modo, una volta dileguatosi nel nulla il Lanfranco, e mentre stiamo – sospesi in aria – attraversando un banco di nubi riprendo in mano gli appunti e comincio a rivoluzionare la scaletta: non prima di avere riportato alla memoria i pochi elementi superstiti della mia esperienza reggina come quello che vide la riscossa di tutto il territorio dalla dinastia piemontese e l’instaurarsi di un seppur vago principio di giustizia affidati al cosidetto brigante Musolino.
    Ho però appena chiuso gli occhi per la stanchezza (sono in piedi dalle quattro del mattino) allorché mi appare l’immagine di una donna molto simile alla Madonna di Pompei: se non fosse che questa qui è veramente una persona in carne e ossa. Dev’essere successo che nella calca e per la mancanza di controlli da parte dei flic nonché del personale di imbarco (oggi in stato di agitazione) costei si sarà intrufolata tra di noi dando ad intendere che fa parte della troupe, al momento composta da non meno di cinquanta persone tra truccatori, aiuto registi, macchinisti, elettricisti, addetti al montaggio, scenografi, produttori della pre e post-produzione. La cosa in un primo tempo né mi sconvolge né mi disturba, anzi mi rende più soporoso il sonnellino (in inglese nap) dal quale penso di riprendere vigore. Le giornate che ci attendono saranno massacranti. Ci sarà da riprendere  panorami boscosi, mandrie di mucche al pascolo brado; contadini intenti a guardare con stupore crescere e maturare frutta ed ortaggi; cinghiali che gozzovigliano a base di ghiande: tutto ciò se ci porteranno sulla Silla per magnificare la terra di Calabria. Naturalmente non potrà mancare una visitina ad Amantea o a Tropea per fare il punto della situazione in materia di turismo estivo mentre a Gambarie ci lasceremo incantare e a nostra volta faremo incantare gli amanti della montagna, scarponi chiodati per le scalate e slitte per il salvataggio dei malcapitati soliti addentrarsi in luoghi impervi magari abitati da gnomi: sai che paura al solo vederli!
    Ci si sarà inevitabilmente domandato come mai una troupe così numerosa. Ecco la spiegazione. “Già che ci siamo” mi disse alla partenza il direttore di TeleMontecarlo, “perché non fare un servizio a dovere da vendere ai pubblicitari e quindi costoro ai venditori di prodotti di consumo? La Calabria è ricca di fascino, non solo per le faide, ma soprattutto per i reperti archeologici. Ci sono nel suo sottosuolo più crateri e monete antiche (per non dovere menzionare le antefisse) di quanto si possa solo immaginare. Fai un buco per terra (il Tiresia di turno ti avrà detto che là sotto c’è acqua) e invece di uno zampillo vedi affiorare oggetti vari e monili perfettamente conservati. È possibile che lei” (mi dà ancora del lei; a cose fatte mi darà semplicemente del tu e mi sbatterà fuori) “non sappia queste cose specialmente se, come afferma, ha frequentato in Calabria il Tommaso Campanella”?
    Mi feci piccino piccino, promisi di riportare alla memoria la figura di un santo (e lo feci trasferendo la troupe a Serra S. Bruno in onore del monaco tedesco fatto santo); feci pure un accenno a Cassiodoro del quale avrei detto le meraviglie, me l’avesse permesso. Ci ripensò. Ricordò a tutti noi che l’occasione in cui stavamo per imbarcarci ci veniva offerta da un finanziamento ad hoc (lui in verità disse oc perché gli veniva meno l’acca quando andava su tutte le furie o era ancora sotto i relativi effetti) della fondazione Fortunato Seminara. Che però ci si attenesse essenzialmente al poeta e operatore culturale Antonio Piromalli.
    Ritorno adesso alla donna infiltratasi nel nostro gruppo che proprio in questo momento – almeno così credo mentre sto facendo il sonnellino – mi siede accanto.
    La vedo raggiante (per forza: è seduta accanto al capo della spedizione!).
    Sembra volermi tenere compagnia per uno scopo che di solito non disdegno perché serve sempre una donna che ti ispiri pensieri casti ma non solo, all’occorrenza. Non posso tuttavia distrarmi con argomenti futili come sarebbero quelli che mi vedessero impegnato ad osservare labbra, chiostra dei denti, sorriso splendente dell’occasionale compagna di viaggio (roba da Matilde Serao!). Ho ben altro su cui arrovellarmi per fare riuscire a dovere il servizio, come ad esempio porre in evidenza lo studio comparatistico fatto dal Piromalli su Gioacchino da Fiore e Dante Alighieri: laddove chi uscì con le ossa rotte fu Dante. C’è pure che non guasterà la domanda a tranello a qualche convegnista – o interventore – sulla diatriba Parini sì Parini no. Il clou comunque dovrebbe essere rappresentato dalla classe sociale più infima, di chi sta per disgrazia dalla parte della manovalanza, i diseredati, gli afflitti della Calabria così magistralmente descritti da Corrado Alvaro: secondo quando ho letto nei frammenti raffazzonati di discorsi su di lui che mi sono capitati in partenza sotto gli occhi e che ho scorso con la solita fretta di noi giornalisti.
    Insomma, se proprio non c’è pace tra gli ulivi lasciatemi almeno godere della presenza di questa giovane donna, efelidi in faccia, foulard che vezzosamente le copre per intero la testa impedendomi perciò di scoprirne il colore e la foggia dei capelli; una mezzaluna verde stampata all’altezza del seno sull’abito color crema lungo fin quasi a coprirle i piedi: raccolti dentro un paio di mocassini con segni geometrici che rimandano all’estetica araba. Quale invece non fu la mia sorpresa allorché, nel dormiveglia, la sentii esprimersi in una lingua ancor più dolce, musicale che subito individuai per l’idioma greco, quello classico. Mi trovai immediatamente a mio agio. Rispolverai i passi dell’Iliade in greco mandati a memoria. Lei aggiunse tutto ciò che seguiva dopo i primi trenta versi – gli unici da noi studenti liceali costretti a memorizzare ma sufficienti essendo per potere passare agli esami. Improvvisamente però la ragazza mi sparisce dalla vista. Mi riapparirà allorquando durante il convegno su Antonio Piromalli si parlerà della di lui infatuazione per una (ovviamente bella, anzi bellissima) ragazza di Ferrara sicuramente discendente della famiglia degli Estensi.
    Sembrerà incredibile ma è tutto vero quanto sto per dire. Mi rendo conto di quanto possa apparire irreale se non frutto addirittura di allucinazioni. Posso però giurare sulla autenticità del fatto benché non possa esibirne le prove. È proprio nel momento in cui si sta parlando di Ferrara, e si sta materializzando la ragazza – oltre che sentire spirare l’aura poetica della composizione alla quale sta dando di piglio la relatrice Maria Festa – che la mia fedele compagna di viaggio (molto diversa da una ventiquattr’ore) salta su un piccolo palcoscenico allestito lì per lì non si sa bene da chi, posto a lato del tavolo della presidenza, naturalmente tra lo stupore generale. Comincia a dimenarsi, probabilmente per scaldarsi. Passa quindi a una vera e propria esibizione da ballerina assecondata da un pianista più che bravo. Lui sta suonando La danza delle libellule di Ponchielli; lei per poco non entra in trance. I battimani si sprecano, le luci si attenuano, il pubblico è in delirio. Seguirono per almeno mezz’ora alcuni altri passi tratti dalla Cenerentola e dal Lago dei cigni. Fine della divagazione. Si ritorni adesso a lavorare sull’opera omnia, molto variegata, del Piromalli.
    Com’è intuitivo lo spettacolo mi esaltò a tal punto da potere ritenere riuscita la nostra impresa. Il sig. direttore non avrà certamente da ridire. I nostri telespettatori neanche (niente sms di sdegno anzi plauso per me quale regista). A guadagnarci sarà anche il corso dei lavori tutti debitamente registrati. Il fatto però è che al momento della proiezione in sala di montaggio non si capisce come e perché della superiore esibizione della ragazza clandestinamente imbarcatasi con noi non c’è traccia. Non mancano comunque le sette e passa ore delle relazioni ed altresì ovazioni degli studenti accorsi a sentire quanto si andrà a palesare.
    Poco male, si potrebbe dire, e invece no in quanto il direttore, a seguito della proiezione integrale va su tutte le furie, urla come un ossesso, mi minaccia di licenziamento e intanto mi ritira le credenziali. Fortuna vuole – la fortuna si sa è sempre bendata – che a un certo punto la pizza si rimetta in moto e voilà il coup de thèatre. Un’immagine dietro l’altra si vede sul finale nel servizio il prof. Piromalli seduto in prima fila, sorridente, soddisfatto. Mi saluta. Mi ringrazia. Mi spiega, allorché lo raggiungo e mi gli siedo accanto, che negli ultimi anni della sua attività letteraria operosa fino allo stremo delle forze è andato avvicinandosi alla tecnologia, ai mezzi di diffusione di massa. “Ben vengano i servizi televisivi, sempre più gente si accosterà alla cultura. Ciò che lei sta facendo per conto di TeleMontecarlo è opera meritoria. Già che ci siamo mi lasci offrirle un mio libro in regalo” e giù la dedica. Si tratta della Storia della letteratura italiana edita da Pellegrini.
    La patria dunque è salva. Mancherà il pezzo dell’esibizionista ma tutto il resto non manca, ivi appunto compresa la presenza in sala del nostro, con al fianco il figlio Lanfranco. Cosa perciò si vuole di più perché il servizio possa andare in onda? Non è però di questo avviso il direttore, vuole qualcosa di ancor più scioccante, di meno fantasioso e più realistico. “Cosa di meglio di un qualche artista calabrese”? mi fa.
    Ci penso su. Mi sovviene subito il nome di Mimmo Rotella, colui che ha inventato il genere decollage, già in parte da noi conosciuto a Montecarlo. I nostri galleristi ci hanno fatto soldi a palate, anzi palanche. Per un certo tempo è venuto a vivere dalle parti di Mougins, a due passi da Pablo Picasso. Fu tutto un via vai di gente e acquirenti. Si va in visibilio se lui strappa un manifesto, lo fa a pezzi, gli ridà nuova vita apponendo i pezzi disordinatamente sulla tela e dopo averli incollati farne quadri. Prospetto tale ipotesi come riempitivo al direttore. Mi dice, anzi mi urla che no, l’argomento Piromalli non si inquina, faremo semmai una puntata a parte per il Rotella, e aggiunge, credendo di fare lo spiritoso: “Non sarà che a costui gli mancasse qualche rotella”?
    A questo punto fui io a impuntare i piedi. O così o la spacca. Facile immaginare che vinse lui. Adesso sono costretto a lavorare come scrittore di cose fantastiche, irreali, surreali, per alcune case editrici francesi dove appunto tali generi prosperano. L’occasione mi è stata offerta dal convegno su Antonio Piromalli che ho provato sopra a narrare. Ove si volesse quel servizio, nudo e crudo oppure con gli allegati iperfantastici, potrà essere scaricato gratuitamente. Basterà cercare su Google e all’esito cliccare su www.telemontecarlo.

Ignazio Apolloni

 

 
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